E così all’improvviso, siamo diventati tutti esperti di politica internazionale e di strategie militari. Al bancone del bar non si discute più del fuorigioco di Ronaldo o della garra di Mister Conte. Droni, satelliti e generali sono i trend topic del momento. Ne abbiamo sentite e lette di tutti i colori. Ma la guerra, posticcia o reale che sia, ha una sola tonalità: il nero più oscuro della notte. Quello stesso nero che ha avvolto di fiamme il Boeing ucraino precipitato dal cielo di Teheran. Stella cadente che ha cambiato la prospettiva di chi, frettolosamente, aveva già riposto in archivio l’ipotesi di terza guerra mondiale. Ma queste tensioni cosa cambiano per la Sicilia?

Dal mio punto di vista, è persino irrilevante stabilire con certezza se la base di Sigonella abbia avuto un ruolo attivo o complementare nei giorni dell’attacco all’Iran. Partiamo da un presupposto semplice: la guerra nel terzo millennio moderno dovrebbe passare un complesso sistema multimediale, un organismo digitale interconnesso a livello planetario. La risposta è implicita. E’ impossibile che le basi siciliane dell’esercito statunitense e della Nato, non fossero “connesse” ed online nel momento dell’attacco che ha portato alla morte del generale iraniano Soleimani.

Mi stupisce, piuttosto, il candore ingenuo di chi ancora si meraviglia del fatto che la nostra Sicilia sia un luogo strategico delle guerre moderne. Questo non significa che io sia d’accordo. Anzi. Basta fare quattro salti nel passato per rendersi conto di quanto centrale sia la dislocazione di tecnologie e forze militari sul nostro territorio, per la tenuta del sistema Atlantico. Ancor più rilevanti, dal mio modesto punto di vista, sono i cavodotti sotterranei che fanno della Sicilia uno dei principali hub al mondo per la raccolta dei dati telematici.

Traduco in termini semplici: tutto il traffico dati, soprattutto quello generato in Africa e Medio Oriente, si concentra verso la nostra regione. Secondo me, è una situazione altrettanto delicata e sensibile, proprio come gli hangar che custodiscono i droni a Sigonella. La domanda che dovremmo porci è: rischiamo qualcosa per questo dispiegamento di forze e tecnologie sul nostro territorio. Vorrei potervi dire di no, che non c’è alcun rischio.

Ma il mondo – a colpi di tweet e di missile che si staccano al suolo all’improvviso colpendo bersagli civili – è impazzito. Nessuno è al sicuro. Sterilizzare il nostro territorio dalle basi militari ci renderebbe più sicuri? Si, ma non del tutto, proprio per le ragioni hi tech che ho spiegato prima.

Ed allora, che fare? Abbiamo una sola strada ed è la nostra stessa storia a indicarcela. La Sicilia è terra di dialogo, cultura e pace. Ad Erice, piuttosto che ad Himera, oppure a Taormina. Fatelo dove volete, ma convocate un summit sulla pace nel mondo qui da noi. Siamo al centro del Mediterraneo, tornato ad essere un punto focale delle crisi mondiali. Fate la pace e fatela qui, in terra di Sicilia. E poi magari pensiamo anche come smantellare gradualmente il gigantesco arsenale che opprime i nostri territori.

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