“È inaccettabile lo sversamento di idrocarburi nei pressi di un pozzo di proprietà dell’Eni tra Ragusa e Modica, come inammissibile è la mancanza di trasparenza e informazione sulla situazione”.

È questo il senso del blitz realizzato da Legambiente sulla foce del fiume Irminio, non lontana da uno sversamento di petrolio che interessa da tre mesi l’area di estrazione di proprietà di Eni in Contrada Moncillè.

I volontari dei circoli di Legambiente Ragusa e Scicli, insieme all’equipaggio della Goletta Verde, in questi giorni sbarcata in Sicilia, hanno esposto nella riserva naturale del Fiume Irmino gli striscioni “Che vergogna”, “No trivelle” e “Stanchi di rischiare”, mentre dall’imbarcazione ambientalista, di fronte alla foce, è stato spiegato lo striscione “Eni – Nemico del pianeta”. Presente all’iniziativa anche Fabio Granata, direttore del Distretto culturale Sud Est Sicilia.

È vergognoso che in Italia un’azienda come Eni, che dice di operare con la massima sicurezza, sia responsabile di una perdita di idrocarburi da mesi e tuttora in corso, a grave danno dell’ambiente e a minaccia delle falde acquifere e del Mongillè, affluente dell’Irminio, in una zona non lontana dalla “Riserva naturale macchia foresta”. È assurdo che una multinazionale come ENI non sia ancora stata in grado di dare spiegazioni e delucidazioni sulle cause dello sversamento, così come gli enti preposti al controllo.

La potenziale contaminazione del pozzo 16 di Eni, nel territorio comunale di Ragusa, è stata denunciata anche da Legambiente, che presentando nelle scorse settimane un esposto alla Procura della Repubblica per chiedere l’applicazione della Legge sugli Ecoreati, ha sollevato il polverone, fino ad allora rimasto colpevolmente sotto il tappeto: “Com’è possibile che un’azienda della portata di Eni non riesca a mettere in sicurezza un pozzo sulla terra ferma per tutto questo tempo, tanto più che non si tratta di una piattaforma petrolifera nella fossa oceanica delle Marianne? – chiede il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, presente stamane alla foce dell’Irminio – il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, dovrebbe venire in Sicilia per chiedere scusa ai cittadini ragusani di quanto sta accadendo. Contestualmente, chiediamo con forza informazioni sul quantitativo di petrolio fuoriuscito e sui danni ambientali già provocati, che dovranno essere bonificati a spese dell’azienda”.

“La totale mancanza di trasparenza nei confronti dei cittadini siciliani è a nostro avviso intollerabile – afferma Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia – suggerisce la volontà di non far emergere il problema, e anzi di sottacerlo. Chiediamo il blocco delle trivellazioni in regione, la riconversione del sistema energetico regionale fondata su efficienza e rinnovabili, perché i piccoli giacimenti come quello di Ragusa rappresentano un accanimento terapeutico per il nostro territorio”.

Questo grave fatto avviene in una regione come la Sicilia ancora oggi monopolizzata dall’uso delle fonti energetiche inquinanti. La percentuale di copertura delle fonti fossili rispetto ai consumi siciliani, al 2016 (ultimi dati Simeri GSE), si attesta, infatti, all’88,4%, con le rinnovabili che coprono solo l’11,6% dei consumi della regione. La produzione di petrolio dai giacimenti ubicati in Sicilia rappresenta, inoltre, circa il 13,4% della produzione nazionale, grazie alle 628 mila tonnellate (rispettivamente 415 mila tonnellate sulla terra ferma e 212 mila tonnellate in mare) estratte nel 2018.

Articoli correlati