La nave Aquarius, noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è approdata a Pozzallo, “porto sicuro” indicato dal MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre) di Roma, con a bordo 373 profughi salvati in acque internazionali al largo della Libia nella notte tra Natale e Santo Stefano dalla nave umanitaria OpenArms della Ong ProActiva e dalla nave militare spagnola Santamaria del dispositivo EUNAVFORMED .
I naufraghi, salvati in acque internazionali al largo delle coste libiche, sono stati trasferiti sulla nave Aquarius. Un gruppo di migranti, che si trovavano tutti a bordo di un solo gommone, provengono da 17 differenti nazionalità: la maggioranza proviene dal Pakistan (41 persone, tra cui diverse famiglie con bambini), dal Sudan (43), dal Bangladesh (14) ma vi sono anche libici, nepalesi, eritrei e somali. Tra loro 30 minori, 8 dei quali non accompagnati, 7 bambini sotto i 13 anni e 2 donne in stato di gravidanza.
Sempre la nave Aquarius ha accolto a bordo altre 234 persone soccorse dalla nave militare spagnola Santamaria: provengono in maggioranza da Eritrea e Marocco ma anche da Libia, Etiopia, Guinea Conacry, Costa d’Avorio, Mali, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sudan (Nord). Tra loro vi sono 39 minori, 24 dei quali non accompagnati e 7 di meno di 13 anni.
“Rischiamo la vita, ma è meglio annegare che essere arrestato dalla Marina libica. È come se stessimo vivendo di nuovo la schiavitù. I neri sono i loro schiavi, questo è quello che pensano in Libia oggi”. E’ la testimonianza di un giovane profugo del Mali ai soccorritori di SOS MEDITERRANEE.
“Quando la nave è arrivata e abbiamo visto la bandiera libica, abbiamo tentato di fuggire. Tutti erano preoccupati. Non ci hanno lasciato scappare, ma hanno continuato a seguirci. Per non rischiare la vita delle persone, perché c’erano molte donne e molti bambini in mezzo a noi, li abbiamo lasciati fare”, ha raccontato.
“Nessuno è caduto in acqua, grazie a Dio -ha aggiunto – Sulla nave libica, non ci hanno dato neanche acqua né cibo”. Il giovane ha raccontato anche di essere stato condotto in prigione, una volta riportato a Tripoli: “”Quando siamo arrivati al porto di Tripoli, le organizzazioni umanitarie c’erano, hanno preso i nostri indirizzi. Poi siamo stati messi sul bus e ci hanno portati nelle prigioni.
“Le prigioni non sono organizzate, si stava molto stretti, anche stare seduti era impossibile. – ha raccontato – Si cammina gli uni sugli altri. Là le organizzazioni umanitarie non c’erano. Anche avere dell’acqua era difficile. Bevevamo lentamente perché non sapevamo se dopo ci avrebbero portato altra acqua. Un giorno hanno portato 5 litri di acqua, e poi abbiamo passato tre giorni senza. Abbiamo cominciato a bere acqua cattiva e ci davano da mangiare pasta cruda. Meglio rimpatriare rapidamente che essere nelle carceri libiche”.
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