PALERMO (ITALPRESS) – Il primo incontro era avvenuto il 3 febbraio, 18 giorni dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (alle 9:12 del 16 gennaio), per condividere con gli studenti un momento di gioia da estendere a tutti i siciliani, ma anche di riflessione su cosa sarebbe avvenuto più avanti. A dieci mesi di distanza il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, torna all’Auditorium del Gonzaga Campus per dialogare con i ragazzi, stavolta mettendo al centro il libro ‘La cattura. I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambià, scritto insieme al giornalista Salvo Palazzolo: anche quest’ultimo è presente all’evento, così da creare uno spazio di ricostruzione e dibattito in cui gli studenti non sono meri interlocutori, ma intervengono direttamente con domande e spunti. All’appuntamento ha partecipato anche il presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini.
L’incontro, tenutosi in una sala gremita, più che come una presentazione vera e propria del libro è l’occasione per ribadire l’impegno comune contro una mafia che è tutt’altro che finita, ma che si può isolare attraverso l’istruzione e la cooperazione. Per De Lucia è fondamentale raccontare “dall’interno una storia in cui le informazioni sono circolate a velocità incontrollata: ho pensato fosse giusto dare la mia versione, lasciando però al lettore la possibilità di farsi una sua idea. C’era il pericolo che la latitanza di Messina Denaro diventasse una sorta di leggenda”.
Tanti i temi su cui viene interpellato l’uomo che ha coordinato l’arresto del capo di Cosa nostra (poi deceduto il 25 settembre): connivenze, gestione delle finanze e perfino una riflessione sul significato di ‘uomini d’onorè: “Alla mafia un prete che opera sul territorio fa più paura di un arresto – sottolinea De Lucia, – La cattura, anche dopo trent’anni, è comunque una vittoria dello Stato: una latitanza così lunga si spiega con un numero alto di fiancheggiatori, provenienti da ogni estrazione sociale. La colpa è anche di chi ha girato la testa dall’altra parte, per paura e per convenienza: adesso il nostro focus è capire che fine hanno fatto i soldi di Messina Denaro. Non è ammissibile che i mafiosi si siano appropriati della parola onore, facendone quasi una contrapposizione con diritto: quegli uomini con l’onore non c’entrano nulla, perchè gli unici a cui appartiene sono i cittadini perbene”.
Palazzolo, partendo dalla propria esperienza da studente, evidenzia quanto sia importante per i giovani farsi primi ambasciatori nel dire seccamente no a Cosa nostra: “Quand’ero giovane i cittadini anzichè incoraggiare i giudici li criticavano, mentre gli unici che li sostenevano convintamente erano proprio gli studenti: ora come allora sono loro la colonna portante dell’antimafia. L’arresto di Messina Denaro non ha segnato la fine di Cosa nostra, dobbiamo tutti tenere la guardia alta: le indagini della magistratura ci dicono che purtroppo molti ragazzi in questa città hanno continuato la missione dei padri boss, cercando di sostituirsi allo Stato nei quartieri in cui operano. Tuttavia, dire di voler aiutare la povera gente non rende la mafia buona”.
Per Morosini l’impegno contro la criminalità organizzata è estremamente ricco di insidie: “Forze dell’Ordine e magistratura non bastano da sole a sconfiggere Cosa nostra, perchè attecchisce quei luoghi in cui il bisogno economico è maggiore e l’ignoranza è più diffusa: la scuola è il primo antidoto al fenomeno mafioso e questo i capi delle organizzazioni criminali l’hanno capito. La latitanza così lunga di gente come Messina Denaro e Provenzano è stata agevolata dalla fragilità sociale di alcuni territori in cui non c’era lavoro e la mafia glielo ha dato: solo con una rete di fiancheggiatori importante si può avere una latitanza così lunga”.
Il presidente del Tribunale chiude con una riflessione che suona quasi come un appello ai ragazzi: “Non c’è una data da fissare sulla fine di Cosa nostra: se vogliamo cancellarla, ognuno di noi deve fare la sua parte. Ogni tanto sono gli stessi genitori a chiedere che i figli vengano allontanati dal quartiere per impedirgli di finire sotto l’influenza mafiosa: purtroppo capita spesso che i ragazzi vengano costretti a entrare formalmente nell’organizzazione, senza avere possibilità di scelta. Il controllo dei quartieri dipende dall’atteggiamento prevaricatore dei mafiosi e dall’indifferenza di chi dovrebbe parlare ma non lo fa: la formazione delle coscienze individuali si costruisce con studio e cultura”.
– foto xd8 Italpress –
(ITALPRESS).
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