Il futuro industriale della Sicilia è tinto di nero secondo la Cgil che ritiene catastrofica la scelta dell’Eni di chiudere i ponti con la chimica. Nell’isola sono di fatto saltati gli impianti Versalis di Priolo e di Ragusa, specializzati, rispettivamente nella produzione di cracking e di polietilene. E’ questo lo scenario emerso stamane nel corso terzo incontro nazionale, avvenuto a Priolo, dopo quelli a Ferrara e Brindisi, organizzati dalla Cgil.
Le aziende siciliane che rischiano
“La scelta di Eni, si evince – spiegano dalla Cgil – dalle slide proiettate all’inizio della manifestazione, coinvolge in Sicilia 30 imprese della chimica di base , il 10% del totale nazionale e nel complesso. Rischia inoltre di avere ricadute su 727 imprese della filiera , incluse le materie plastiche, che contano 10.366 addetti dati 2022) con i maggiori insediamenti insediate in tre a Catania, Siracusa e Ragusa (283 unità locali e 6.496 addetti), più le aziende della manutenzione e dei servizi”.
Il valore economico nell’isola
Secondo i dati del sindacato, il valore aggiunto dei settori indicati, più quello del comparto “minerali non metalliferi, ha totalizzato in Sicilia, nel 2022, oltre 4,2 miliardi di euro, ovvero il 4,7% del totale realizzato in regione. “Il valore aggiunto delle imprese del comparto dei prodotti chimici, ha registrato in Sicilia una tendenza espansiva mediamente superiore a quella dell’Italia in complesso” aggiunge la Cgil.
Le ricadute sull’occupazione
Per quanto riguarda l’occupazione in Sicilia, secondo le stime della Cgil, rischiano di venire meno tra diretto e indotto nell’area direttamente interessata, Siracusa e Ragusa, quasi 2 mila posti di lavoro, 600 circa diretti e il
resto indotto, considerando che per ogni lavoratore diretto se ne contato 3 dell’indotto. “Un effetto domino travolgerebbe inoltre i settori collegati, non solo dell’industria chimica: dall’alimentazione alla mobilità, dalla comunicazione all’igiene e salute, coinvolgendo oltre 15 mila lavoratori” sostengono dalla Cgil.
L’addio alla chimica è sbagliato
L’Eni nel presentare il piano di dismissione lo ha motivato con l’esigenza della Transizione energetica: a Priolo, dove sono previsti dal colosso italiano dell’industria circa 900 milioni di euro, ci sarà un impianto per la produzione di biocarburante ma per la Cgil, che comunque nutre dubbi sulla riconversione, è errato lasciare la chimica.
“La chimica- ha sostenuto ha sostenuto Marco Falcinelli, segretario generale nazionale della Filctem- -è strategica, lo dicono sia l’Europa che il Governo italiano, allora perché non produrre più etilene e propilene? I mercati -ha aggiunto- sono ciclici, se oggi si perde domani il ciclo si inverte. Diciamo no dunque a questo piano, non possiamo avallarlo. Possiamo stare al tavolo per gestire il cambiamento- ha proseguito- definendo bene prima il perimetro della discussione, ma non per essere complici di una dismissione che metterebbe tutta l’industria in ginocchio.
L’appello al Governo
“Siamo pronti a stare al tavolo- ha sostenuto Marco Falcinelli, segretario generale nazionale della Filctem- ma non per essere complici di una dismissione che peraltro renderebbe il nostro Paese dipendente dall’estero”. La Cgil chiede dunque al Governo di esercitare un ruolo da protagonista, convocando un tavolo ministeriale che assuma la vertenza nel suo complesso, considerando l’impatto su diretto e indotto, quindi su più categorie di lavoratori, su tutta l’industria, su intere aree e in definitiva su tutto il Paese.
L’affondo alla Regione
“E’ assurdo- ha detto Gabriella Messina, segretaria confederale Cgil Sicilia coordinatrice del dibattito- che questo progetto sia avallato dal Governo nazionale dal momento che Eni è un’azienda partecipata dallo Stato e non contrastato dal governo regionale, visti gli effetti devastanti che rischia di avere. La regione non può limitarsi a convocare le parti e fare da spettatrice prendendo semplice atto delle posizioni. Questa industria- ha aggiunto- può avere un ruolo cruciale per realizzare concretamente la transizione ecologica senza sacrificare il benessere e la coesione sociale. Ad oggi non si hanno invece certezze su eventuali piani di reindustrializzazione”.
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