processo al tribunale di siracusa

Deteneva armi clandestine in casa, il giudice condanna un operaio

Il gup del Tribunale di Siracusa ha condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione Danilo Rugani, 40 anni, operaio, siracusano, accusato di detenzione clandestina di armi.

Pistole in casa

L’uomo, difeso dall’avvocato Junio Celesti, era stato tratto in arresto nell’ottobre scorso quando, al termine di una perquisizione, gli investigatori trovarono nella sua abitazione due pistole.

Era ai domiciliari

Il 40enne, al momento del blitz nel suo appartamento, si trovava ai domiciliari per via di un’altra vicenda giudiziaria, l’agguato a colpi d’arma da fuoco ai danni di un ambulante, suo vicino di casa, avvenuto nell’androne di una palazzina in via Ramacca, nella zona di viale Santa Panagia, area nord di Siracusa.

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Le richieste del pm

In merito all’arresto per la detenzione delle due pistole, la difesa ha chiesto il processo con il rito abbreviato ed al termine della requisitoria il pm della Procura di Siracusa aveva sollecitato una condanna più pesante, pari a 3 anni di reclusione.

L’altra condanna

Per il 40enne siracusano si tratta della seconda condanna a distanza di pochi mesi. Infatti, nel novembre scorso ha rimediato 2 anni e 4 mesi di reclusione per aver gambizzato il vicino di casa.

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La confessione

“Sono dispiaciuto per quello che ho fatto ma non sopportavo l’idea che quell’uomo fuorviasse i miei figli” aveva detto l’operaio nelle ore successive al suo arresto compiuto dagli agenti della Squadra mobile di Siracusa.

Il movente

Il 40enne, temendo che i figli rimanessero risucchiati nel mondo della droga per via di quel vicino, un 53enne, con precedenti penali, arrestato nel giugno del 2020 per possesso di stupefacenti, avrebbe preso quella drammatica decisione.

In effetti, nel giorno in cui l’ambulante venne fermato le forze dell’ordine entrarono in casa sua dove fu trovato uno dei figlio di Rugani, un ragazzino di 14 anni. E quando, l’operaio premette il grilletto della pistola nella sua disponibilità avrebbe chiamato per nome la vittima per poi dirgli: “Tu sai perché, questo è per i miei figli”.

 

 

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