La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Catania nei confronti di Sebastiano Troia, l’avvocato penalista, originario di Avola, coinvolto nei mesi scorsi nell’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla Procura, sulla presunta cessione di droga in carcere ad un detenuto, recluso nel penitenziario di Cavadonna.

Il penalista, in una prima fase, era finito ai domiciliari, per poi tornare in libertà ma con il divieto di varcare i confini del Comune di residenza, incassando, però, l’autorizzazione a recarsi in tribunale per motivi di lavoro. Il Tribunale del Riesame, che aveva confermato l’obbligo di dimora nel Comune di Avola disposto dal gip di Siracusa, dovrà tornare a pronunciarsi dopo la decisione della Cassazione.

“L’annullamento  riguarda la motivazione in merito alle esigenze cautelari” spiega l’avvocato Luca Ruaro, difensore di Troia insieme a Puccio Forestiere e Fabiola Fuccio.

Secondo l’accusa, Troia avrebbe agevolato la consegna della droga, nascosta in dei vasetti, ad un suo cliente, detenuto nel penitenziario di Siracusa anche con la complicità della compagna di quest’ultimo, pure lei coinvolta nell’inchiesta. Nello stesso fascicolo, come confermato dalla Procura di Siracusa, c’è anche un altro avvocato di Siracusa, indagato anch’esso per la cessione di stupefacenti in carcere.

Troia,  durante l’interrogatorio di garanzia, ha rigettato le accuse mosse dalla Procura, sostenendo di aver agito in buona fede. Insomma, non era a conoscenza del fatto che in quei contenitori vi fossero stupefacenti e per suffragare questa ipotesi, la difesa è entrata nel merito delle intercettazioni telefoniche che sono tra le fondamenta delle indagini, condotte dai militari della Guardia di finanza. “In alcune di queste intercettazioni tra i vari soggetti interessati – aveva detto a BlogSicilia l’avvocato Puccio Forestiere poco dopo l’interrogatorio di garanzia – si comprende benissimo che l’ingresso della droga è avvenuto all’insaputa del mio assistito. Insomma, la buona fede è assoluta”.

Secondo gli inquirenti, all’approvvigionamento di droga avrebbero partecipato i familiari del detenuto, la ex moglie e le figlie che avrebbero consegnato il fumo all’attuale compagna che l’avrebbe occultato in vasetti di crema per uso cosmetico, poi  affidati al legale, nella tesi dell’accusa.