E’ ritenuto uno dei più grandi attori italiani di sempre, Salvo Randone, siracusano, morto esattamente 30 anni fa. Il suo volto non è conosciuto al grande pubblico, come Vittorio Gassman, solo perché l’artista siciliano non amava il cinema e la tv ma le sue interpretazioni hanno lasciato un solco profondo nel teatro.
Domani, alle 18, all’Antico Mercato di Siracusa si terrà un convegno dedicato alla figura dell’attore siracusano nell’ambito delle iniziative organizzate dal Comune per rendere omaggio alla sua memoria.
Del suo profilo, del suo spirito indipendente e del rapporto con la sua città ne abbiamo parlato con Loredana Faraci, docente di Storia dello Spettacolo all’Accademia Belle Arti di Roma, autrice di un libro su Randone, dal titolo “La follia della ragione”.
Si celebrano i 30 anni della morte di Salvo Randone. È ritenuto tra i più grandi attori di teatro italiani ma il grande pubblico lo sta scoprendo solo negli ultimi anni. Come se lo spiega?
Salvo Randone muore il 6 marzo del 1991, a 86 anni, a Roma. Sino all’ultimo legato alle proprie abitudini e, soprattutto, da uomo riservato come pochi. Non so se il pubblico (quale pubblico, del resto) conosca Salvo Randone, in verità. Da venti anni insegno in Accademia delle Belle Arti e tra i giovani che intraprendono la strada del
teatro e del cinema, sempre più raramente ne trovo qualcuno che conosca Randone e, soprattutto, il suo calibro interpretativo.
La generazione dei quarantenni e dei cinquantenni forse ne conoscono il nome perché ne parlavano i genitori in casa mentre gli anziani sicuramente conoscono Randone attore, perché ne ricordano le magistrali interpretazioni televisive. Qualcun altro, pochi, per i film di Elio Petri accanto a Gian Maria Volonté.
Il grande pubblico, di cui solitamente parliamo, non conosce Randone ma credo sia normale perché si conserva memoria se ci si affida soprattutto alla televisione, al cinema cosa che hanno fatto altri, come Gassman, ad esempio.
La grande arte degli attori muore purtroppo con loro. Solo Eduardo corse ai ripari affidando tutto il suo teatro alla televisione. Sapeva che senza la registrazione di tutte le sue opere, alla sua morte, sarebbe stato più difficile ricordarlo e studiarlo. Se si vuole amare un attore, lo si deve studiare, lo si deve amare e poi trasmettere questo amore con altro amore. In genere, le scuole di teatro e di cinema compiono questi “miracoli”.
Lei ha pubblicato un libro su Salvo Randone. Cosa l’ha spinta a scrivere su di lui e cosa lascia alla cultura?
Il mio lavoro Salvo Randone, “La follia della ragione (Lombardi Editore) fu pubblicato nel 2006 per volere della Associazione Amici dell’Inda e di Enrico Di Luciano, allora presidente.
Nasce da uno studio originario universitario che portò alla mia tesi di laurea in Discipline dello Spettacolo. Proposi io al mio docente Salvo Randone e ricordo che si illuminò alla proposta. Un lavoro che non è mai terminato anzi si è arricchito con interviste e contributi vari.
Oggi, a rileggerlo, ricorda Randone attraverso immagini familiari che ne ritraggono il legame prezioso con la famiglia d’origine e, quindi, con Siracusa. Mentre dal punto di vista culturale offre un’idea dell’attore attraverso le parole di attori e critici teatrali come Anna Proclemer, Franco Cordelli, Franco Quadri.
Posso dire che Randone lascia la testimonianza di una scelta d’arte sincera, senza compromessi di alcun tipo ed un senso di libertà e di indipendenza, molto rari.
Oggi è impensabile per un attore mantenere una forte indipendenza, di allontanarsi da un Teatro Stabile che nasceva, come il Piccolo di Milano perché si respirava “aria di caserma”. Randone era un attore che non viveva di teatro ma per il teatro e per l’arte. Randone era un uomo indipendente per natura e formazione.
Randone era siracusano. Che rapporto aveva con la sua città?
Era un uomo che aveva un rapporto ottimo con la vita comoda. Taormina era la città dove trascorreva le sue vacanze ma Siracusa era la città dei cugini, dello zio Francesco Randone che si dice andasse a trovare, quando era ancora in vita.
Di lui si racconta che amava raggiungere Ortigia e passeggiare ma il suo rapporto con la città credo si possa rintracciare, soprattutto, attraverso le sue straordinarie interpretazioni al Teatro greco ( ben quattro, nel 1948 con Oreste in Coefore, nel 1952 con Edipo in Edipo a Colono, nel 1954 con Creonte in Antigone e nel 1958 sempre Edipo in Edipo re, sempre con gli stessi registi di riferimento che si avvalsero della sua recitazione di tradizione, di antica scuola) e, poi, un ultimo Enrico IV di Pirandello, nel 1986.
Questo era l’ultimo Randone, quasi immobile, in cui la voce e l’interpretazione ricca di sfumature tra l’ironico e il sarcastico prendeva forza da un corpo, sì, appesantito ma capace ancora di essere grande presenza teatrale.
Secondo lei, quanto Siracusa ha conservato la memoria di Randone?
Siracusa ama Randone a corrente alternata. Ricordo anni fa che si voleva realizzare un Museo, motivo per cui la sorella Aurora, mi donò un meraviglioso album di foto di famiglia, immagini che ho interamente pubblicato nel testo ma che in originale custodisco perché possa far parte di un primo piccolo nucleo di memoria.
Ricordo anche che ci fu una volontà politica nel dare il nome di un immobile ma che anche è stato poi chiamato in altro modo, appena sono cambiati i riferimenti ammnistrativi della città, dimenticando Salvo Randone in un attimo. Ricordo, pure, che ci fu la volontà di un consiglio comunale, con tanto di delibera, che intitolava il Teatro Comunale a Salvo Randone.
Eppure Siracusa potrebbe veramente farne un vanto vero, lavorando sulla sua memoria in modo strutturato e continuativo. Anche in questo caso, come per tante cose, si potrebbe dare occupazione ai tanti laureati in beni culturali di questa città. Perché Randone è un bene, un patrimonio culturale che dovrebbe unire intenti, intelligenze ed iniziative nel nome dell’arte e del teatro. Non è mai troppo tardi.
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