Nell’inchiesta antimafia Araba Fenice sul pizzo agli imprenditori agricoli e su un traffico di droga a Pachino, è finito anche un altro episodio. Una presunta cessione forzata di una casa, acquisita all’asta da una famiglia di acquirenti, che, poco dopo, sarebbe stata convinta a cedere l’immobile ai vecchi proprietari, riconducibili a Giuseppe Vizzini, indicato dai magistrati della Procura distrettuale di Catania come il braccio destro di Salvatore Giuliano, ques’ultimo definito dai magistrati come il boss di Pachino. Secondo quanto sostenuto dal pm, Alessandro Sorrentino, gli acquirenti, dopo aver versato, sotto forma di caparra, circa 18 mila, avrebbero rinunciato alla proprietà sotto le pressioni della famiglia Vizzini, che avrebbe sfoderato tutta la propria forza intimidatoria per convincere le presunte vittime a compiere un passo indietro. Ma la difesa, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Gurrieri, nel corso dell’ultima udienza celebratasi nell’aula della Corte di Assise di Siracusa, ha rigettato questa tesi, affermando che i nuovi acquirenti avrebbero siglato un accordo sulla parola con i Vizzini, i quali avrebbero saldato tutto con assegni. Insomma, i compratori, secondo la versione della difesa, non avrebbero perso nemmeno un centesimo ma soprattutto non ci sarebbe stata alcuna pressione.

Il processo scaturisce dopo la retata del luglio del 2018 quando furono tratte in arresto  19 persone che avrebbero esercitato, secondo l’accusa, un potere intimidatorio nei confronti dei produttori agricoli, praticamente costretti a consegnare la merce ai vertici dell’azienda La Fenice, sotto il controllo di Salvatore Giuliani. I gestori de La Fenice, a parere dei magistrati della Dda di Catania, con metodi poco ortodossi, secondo gli inquirenti, avrebbero convinto i centri di distribuzioni ed altri commercianti a comprare da loro. Si sarebbe creato un cartello che gli inquirenti avrebbero scoperto grazie alle intercettazioni telefoniche. Secondo la Dda di Catania, il gruppo avrebbe anche preteso il pagamento di una provvigione come corrispettivo di una presunta mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti. Alla sbarra, nel processo tutt’ora in corso al palazzo di giustizia di Siracusa, ci sono 31 imputati.

 

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