• Scarcerato un presunto componente del clan Trigila di Noto
  • Era stato arrestato nelle settimane scorse dalla polizia
  • Per i giudici non ci sono prove di colpevolezza

Era tra i 13 arrestati dagli agenti della Squadra mobile accusati di far parte del clan Trigila di Noto finiti due settimane fa nell’operazione Robin Hood  per associazione mafiosa, estorsione e truffa. Francesco De Grande, 62 anni, è tornato in libertà su decisione dei giudici del Tribunale del Riesame di Catania che hanno accolto il ricorso del suo difensore, l’avvocato Junio Celesti.

“Non ci sono prove di colpevolezza”

Secondo quanto sostenuto dalla difesa dell’indagato, il provvedimento è stato “annullato per insussistenza prove di colpevolezza”. Nella tesi dei magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania, che hanno coordinato le indagini, il sessantaduenne avrebbe avuto il compito di garantire gli stipendi agli affiliati.

Gli ordini del boss dal carcere

Per gli inquirenti, era il boss di Noto, Antonio Giuseppe Trigila, a dettare gli ordini dal carcere, attraverso i colloqui con i familiari, agli esponenti della sua cosca per il controllo del trasporto dei prodotti orto-frutticoli, la produzione di pedane, imballaggi e prodotti caseari. Sarebbe stato in contatto con il figlio grazie ad uno scambio di lettere, finite nelle mani degli inquirenti, per i quali sarebbero state le donne, la moglie e la figlia di Trigila, a svolgere il compito di veicolare i suoi ordini ma capitava anche che intervenissero in prima persona, per conto del boss quando si rendeva necessario spendere il suo nome per risolvere alcune questioni.

Le aziende della cosca

Le indagini, iniziate nel 2016 e proseguite fino al 2018, svelano la capacità da parte della cosca di disporre di proprie aziende capaci di alterare le regole della concorrenza e di acquisire una posizione dominante, in particolare nell’intermediazione nel settore dei trasporti dei prodotti agricoli. Oltre a questo, il gruppo si sarebbe reso responsabile di estorsioni ai danni di diversi operatori economici e di truffa, ottenendo l’erogazione di fondi europei destinati alla imprese agricole, di cui si sarebbe occupato il nipote del boss.