Una lettera al Prefetto per evidenziare i ritardi, sia nella fase del ricovero in ospedale sia per l’esito dei tamponi, nella gestione sanitaria di Calogero Rizzuto, il direttore del Parco archeologico di Siracusa, deceduto nelle ore scorse a causa del coronavirus in un letto del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Umberto I. A scriverla è stato il deputato regionale, Emanuele Dipasquale, amico della vittima, che ha vissuto, insieme alla famiglia il calvario dell’ex soprintendente ai Beni culturali.

“Se Calogero Rizzuto fosse stato ricoverato già giorno 9 o 10 marzo , avrebbe potuto evitarsi la sala rianimazione, questo non tocca a me stabilirlo. Purtroppo il ritardo nell’individuare la positività del tampone per ben 5
giorni non ha fatto scattare prontamente l’obbligo di quarantena nei confronti di  quanti (familiari,amici,collaboratori) avevano avuto contatti con lui proseguendo la loro normale vita” scrive al Prefetto il deputato all’Ars, Emanuele Dipasquale.

Un j’accuse che coinvolge la catena sanitaria, dalla direzione dell’Asp di Siracusa fino al Policlinico di Catania. E la lettera è un racconto cronologico dei fatti, secondo la ricostruzione del parlamentare regionale, che ha inizio il 9 marzo quando  “Calogero Rizzuto accompagnato dalla moglie, su indicazione del medico di famiglia, va a fare il tampone poiché’ affetto da febbre e tosse da una settimana”.

Il giorno seguente “contattato dalla moglie del Rizzuto, poiché – scrive Dipasquale – ancora non aveva avuto alcun esito, mi attivo prontamente per capire cosa stava accadendo, contattando il direttore dell’Asp di Siracusa,  dottore Ficarra, alle ore 19,34 che mi risponde che l’esito dei tamponi di giorno 9 non era ancora arrivato”.

Ma l’11 marzo “alle ore 8,16 della mattina il Ficarra, mi rigira su whatsapp messaggio del Policlinico di Catania, che attesta l’assenza di notizie sull’ esito del tampone di giorno 9”. Il parlamentare assicura che, viste le gravi condizioni di Rizzuto, “la moglie, poiché il marito è stremato , cerca un’ambulanza invano e decide allora di abbassare il sedile e portarlo con la sua macchina a fare il nuovo tampone”.

Il 12 marzo  “alle 10 circa – si legge nella lettera al Prefetto – contatto nuovamente Ficarra per avere notizie sempre dei tamponi.  Ficarra mi risponde che non ci sono notizie e se voglio posso contattare personalmente il
Policlinico di Catania. Gli ribadisco che Rizzuto sta rischiando di morire“. Inoltre “contatto immediatamente il Direttore della – scrive il deputato –  Sanità La Rocca alle ore 12 e mi scrive che alle 14 il prof. Scalia comunicherà l’esito dei tamponi, faccio riferimento dei tamponi effettuati giorno 9 e giorno 11 per i quali si attende risposta, mi dicono alle 14 del 12 di marzo”.

E dopo tante sollecitazioni, arriva, secondo il parlamentare, la risposta sui tamponi da Catania.  “Il referente del Policlinico scrive che il tampone – scrive il deputato al Prefetto – non andava fatto secondo le direttive ministeriali, poiché dalla scheda non aveva indicazioni di rischio: tosse , febbre, e incontro con delegazione coreana a fine febbraio già comunicata in occasione del 1 tampone di giorno 9 marzo, ribadendo che l’emergenza imponeva delle scelte su criteri di priorità”.

Ma solo il 13 marzo  “alle 8:30 arriva l’esito positivo del tampone: COVID-19 Il paziente a quell’ora è già in rianimazione” scrive il parlamentare all’Ars.

Una ricostruzione drammatica che, però, lascia dei forti dubbi sulla gestione del paziente. “Forse la tempestiva individuazione della patologia del paziente Rizzuto che non so se definire paziente 1, avrebbe potuto ridurre ulteriori
contagi a carico di quanti hanno avuto contatti con il paziente nei giorni precedenti il 9 marzo” conclude  nella lettera il deputato.

 

 

 

 

 

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