“Con serenità e fiducioso che la verità sarebbe emersa, ho atteso la decisione della Magistratura” ha detto il Vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero commentando la decisione del Gip del Tribunale di Marsala che ha disposto l’archiviazione per il presula accusato dalla Procura di Marsala di appropriazione indebita e per truffa aggravata.
“Sin dai primi momenti di questa vicenda che mi ha visto coinvolto ho dichiarato la mia estraneità ai fatti contestati, confidando nel lavoro degli inquirenti e della Procura e forte della testimonianza della mia coscienza – ha sottolineato -. Se da un lato ho sperimentato la vicinanza di diversi confratelli e di tantissima gente, dall’altro sono stato bersaglio di giudizi affrettati, di condanne severe e di offese ingiuste. Ho sopportato tutto in silenzio per oltre due anni, certo che la verità si sarebbe imposta quando il materiale d’indagine sarebbe stato sottoposto al doveroso vaglio dei magistrati. Oggi parlano le loro decisioni che, mentre rassicurano quanti erano convinti della correttezza del mio operato, fanno giustizia delle prese di posizione di coloro che hanno dato letture arbitrarie e improprie ai frammenti di informazioni di cui erano venuti in possesso”.
Nella richiesta di archiviazione (accolta dal gip), in merito alle accuse mosse al Vescovo per appropriazione indebita (Mogavero fu accusato che fosse venuto in possesso di 185.600 euro), il pubblico ministero fa riferimento al «supporto» della relazione predisposta dai consulenti tecnici Roberto Ciaccio e Gianfranco Scimone (nominati proprio da Mogavero che sollevò dall’incarico i responsabili dell’Ufficio Economato, collaborando fattivamente con gli organi di polizia giudiziaria al fine di accertare responsabilità gestionali) «col quale l’indagato – scrive il pubblico ministero – forniva chiarimenti rispetto a ciascuna delle operazioni». Mogavero venne accusato anche di appropriazione indebita di un bonifico di 100 mila euro che nelle scritture contabili risultò iscritto come “bonifico c/c Vescovo per Lamagna” (Ernesto Lamagna è stato l’artista che ha realizzato il portone e gli arredi liturgici della nuova Matrice di Pantelleria, ndr). Per questa vicenda scrive il pubblico ministero nella richiesta di archiviazione: «Dalle indagini svolte successivamente all’interrogatorio (del dicembre 2015, ndr) è emerso come il bonifico in parola è risultato intestato a Ernesto Lamagna e Maria Bevacqua in Lamagna, sicché con riferimento a detti fatti è emersa la prova che il reato di appropriazione indebita di 100 mila euro contestato al Vescovo non sussista».
La truffa aggravata. Anche per quest’accusa il pubblico ministero ha richiesto – e ottenuto dal gip – l’archiviazione per il Vescovo Mogavero. Le accuse al Vescovo riguardarono la richiesta e l’ottenimento dei finanziamenti alla Regione Siciliana e alla Cei per la costruzione della parrocchia San Lorenzo in Mazara del Vallo. I fatti risalgono al 2005, allorquando la Regione Siciliana concesse il contributo di 1.363.415 euro e, nel febbraio 2007, la Diocesi ottenne il finanziamento di 1.474.000 euro da parte della Conferenza Episcopale Italiana per la realizzazione del complesso parrocchiale San Lorenzo a Mazara del Vallo. In particolare, secondo l’accusa, il Vescovo La Piana prima e, successivamente, nel corso della realizzazione dell’opera il Vescovo Mogavero, non avrebbero comunicato alla Cei il contemporaneo finanziamento della Regione e, quindi, truffandola. «Gli odierni indagati – scrive il pubblico ministero nella richiesta di archiviazione – in sede di interrogatorio hanno sostanzialmente chiarito il loro ruolo, facendo sorgere il fondato dubbio di avere fornito alla truffa perpetrata ai danni della Cei solo un inconsapevole contributo». È ancora il pubblico ministero che scrive: «Al momento dell’insediamento nell’Ufficio di Vescovo (di Mogavero, ndr), l’intera pratica attinente il finanziamento del complesso parrocchiale di San Lorenzo fosse stata sostanzialmente completata, sulla base di un’istruttoria avviata e seguita dai predecessori di Mogavero, rende verosimile che questi si sia limitato a sottoscrivere atti che gli venivano sottoposti dai collaboratori e che riteneva aventi funzione meramente esecutiva di impegni sostanzialmente già assunti, in maniera più che legittima». Scrive ancora il pubblico ministero: «Semplicemente la documentazione veniva predisposta dall’ufficio competente e gli veniva sottoposta per la firma in quanto legale rappresentante. Né le sue conoscenze tecnico-giuridiche erano tali da consentirgli di rilevare eventuali inesattezze e/o falsità in documenti che sono sostanzialmente di natura tecnica e predisposti da tecnici del settore».
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