Quattro anni di reclusione a testa per l’ex consigliera comunale di Erice Francesca Miceli e per il marito Fabio Grammatico. I due furono coinvolti nell’inchiesta che portò ad un’indagine che coinvolse Angelo Catalano, che fu vicesindaco al Comune di Erice, su presunti “scambi di favori” politici. Catalano per questa vicenda patteggiò una pena a un anno e 9 mesi anche se subito dopo ci ripensò e fece ricorso, arrivando sino in cassazione dove però la sia istanza venne respinta e confermò quindi la pena.
I lavori al bar del marito
La Miceli avrebbe spinto l’allora vicesindaco a sospendere alcuni lavori che erano in corso per un’opera pubblica per andarne a realizzare altri, non ovviamente autorizzati, nel bar gestito dal marito della stessa Miceli, per l’appunto Fabio Grammatico. In quell’occasione vennero realizzati degli interventi per la rimozione di una barriera architettonica che impediva agevolmente l’accesso all’esercizio di via Cosenza anche a chi aveva difficoltà motorie.
La contropartita
Secondo quanto sostennero i carabinieri, che portarono avanti una maxi indagine che addirittura ebbe diverse diramazioni, la consigliera convinse il vicesindaco ad effettuare questi lavori ottenendo in cambio un voto. La Miceli, questa la tesi degli inquirenti, avrebbe promesso che in aula avrebbe votato il piano rifiuti che sarebbe stato proposto dall’amministrazione comunale.
I guai del vicesindaco
Catalano era stato indagato nel giugno del 2018, mentre i reati contestati sarebbero stati commessi tra il 2016 ed il 2017. Si tratta di uno dei filoni d’indagine su cui stava lavorando la Procura, che ha passato a setaccio appalti e affidamenti diretti di opere pubbliche.
Le pene accessorie
A pronunciare la condanna è stata la sezione penale del tribunale di Trapani presieduta da Enzo Agate. Anzitutto il reato contestato alla Miceli e al marito è stato riqualificato, dall’originaria corruzione in concorso a “induzione indebita a dare o promettere utilità”. I due sono stati inoltre interdetti dai pubblici uffici per 5 anni, condannati al pagamento delle spese processuali e al danno quantificato in 5 mila euro alla parte civile costituita.
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