La casa del Fantasma, di Plauto, con l’adattamento e la regia di Nicasio Anzelmo. Un nuovo appuntamento al tramonto per il Catalafimi Segesta Festival – Dionisiache 2018, la manifestazione organizzata dal Comune di Calatafimi Segesta, in sinergia con il Parco Archeologico di Segesta e la direzione artistica di Nicasio Anzelmo.Giovedì 16 agosto (replica 17-18-19), alle 19.15, andrà in scena lo spettacolo con Giovanni Carta, Giovanni Di Lonardo, Roberta Rigano, Simone Coppo, Nicolo’Giacalone, Roberto Carrubba, Roberto Baldassari, Alessia Sorbello, Cinzia Mirasolo e con la partecipazione di Monica Guazzini.
Il giovane Filolachete, aiutato dal suo servo Tranio, dilapida in gozzoviglie e divertimenti il patrimonio del padre Teopropide, lontano per affari ormai da tre anni. Filolachete ha inoltre contratto un oneroso debito con uno strozzino allo scopo di affrancare e avere tutta per sé la bella cortigiana Filematia. A casa del giovane si presenta, con una dama, il suo compagno di bagordi Callidamate, perennemente ubriaco: gli amici stanno per godere insieme dell’ennesimo banchetto quando dal porto giunge trafelato Tranione, annunciando l’imprevisto ritorno ad Atene di Teopropide. Ma il servo sta già meditando una via d’uscita per il padroncino: chiude in casa i convitati, serrando l’uscio dall’esterno, quindi attende l’arrivo del vecchio: e quando torna Teopropide, si presenta alla propria dimora e bussa più volte per farsi aprire, compare Tranio, il quale lo scongiura di allontanarsi. L’abitazione, così sostiene il servo, è ormai disabitata e maledetta a causa di un antico delitto scoperto soltanto di recente in seguito all’apparizione del fantasma dell’ucciso in sogno a Filolachete. Si ode poi una voce dall’interno e Tranio afferma che è quella del fantasma: il vecchio, terrorizzato, si dà alla fuga. Di lì a poco però ritorna e per caso incontra l’usuraio, che reclama il denaro prestato a Filochete. Per trarsi d’impaccio, Tranio deve allora inventare un’altra frottola: il suo padroncino, non potendo più vivere nella casa maledetta, è stato costretto ad acquistarne un’altra, chiedendo i soldi per la caparra allo strozzino. Il vecchio gli crede e liquida il creditore con una promessa di pagamento, ma insiste per vedere la nuova dimora. L’ardito bugiardo gli fa invece visitare quella di Simone, un vicino dal quale riesce a farsi accogliere grazie all’ennesima menzogna: gli dice, infatti, che Teopropide, volendo ammogliare il figlio e cambiare la disposizione di alcune stanze nella propria abitazione, ha scelto come modello la sua. Al termine di quella visita, tuttavia, Teopropide scopre la verità: infatti incontra due servi che cercano il loro padrone, Callidamate, proprio in casa di Filolachete, una casa, quindi, tutt’altro che disabitata. A poco a poco, così, il vecchio si rende conto di tutti gli imbrogli di Tranio. E soltanto un saggio intervento di Callidamate, eccezionalmente sobrio, fa sì che egli perdoni il figlio pentito e, seppure ancora a denti stretti, anche il servo intrigante.
“Caratterizzate da un’estrema complessità degli intrecci, spesso privi di un rigoroso e coerente sviluppo narrativo e risolti infine per l’intervento eccezionale di personaggi o di eventi esterni – spiega il regista Nicasio Anzelmo – le commedie plautine per essere comprese devono venire inquadrate dentro la cultura teatrale della Roma repubblicana: Plauto scrive per una società in trasformazione nella quale l’emergente classe borghese, arricchitasi grazie alle iniziative commerciali stimolate dalle nuove conquiste, è in progressiva espansione. Scrive per il divertimento grasso delle classi popolari, cui è gradito il riso sboccato, destato da artifici comici di ogni sorta. Scrive per l’otium degli aristocratici, intriso di estetizzanti vagheggiamenti ellenistici. L’estetica dell’apparenza sostanzia il sogno orientale degli aristocratici romani. Con questa commedia Plauto raggiunge uno dei livelli più alti della sua comicità. Composta nel 188 a.c. è un’opera ricca di personaggi, dominata dal clima di crescente “suspance” creato dal servo Tranio. La grandezza di Plauto non sta soltanto ricercata nella capacità di delineare indimenticabili caratteri grotteschi o nel tratto moraleggiante, che talvolta emerge da alcune sue opere minori, ma anche e soprattutto nella lucidità disinvolta con cui ha fatto sfilare sulla scena un’umanità priva di attributi di gloria e di onore, per la quale vige solo la legge dell’inganno finalizzato al proprio piacere o al proprio interesse immediato”.
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