Nell’agosto del 2014 la Polizia e la Guardia di Finanza di Trapani sequestravano beni per 25 milioni di euro appartenenti a due imprenditori da anni operanti soprattutto nel settore degli appalti pubblici nel Trapanese e ritenuti acquisiti attraverso la vicinanza a boss mafiosi.

Si tratta di Domenico Funaro di Santa Ninfa e del figlio Pietro, accusati di mafia. Pietro Funaro ai tempi era vicepresidente dell’Ance, il collegio dei costruttori edili siciliani. La magistratura ha ritenuto che i suoi molti averi fossero frutto di attività illecite condotte con il sostegno di Cosa nostra.

Le indagini continuano tutt’oggi, e gli inquirenti stanno effettuando speciali perizie sui computer di Pietro Funaro.

Secondo quanto riporta il giornale La Stampa, in uno dei pc in uso a Funaro sarebbero stati ritrovati un foglio elettronico denominato “gruppo onorevoli da sistemare” e molti dei ‘pizzini’ oggetto della corrispondenza tra Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, i Lo Piccolo di Palermo e Tonino Vaccarino.

È emersa dalla perizia anche la memoria depositata dai pm della Dda di Palermo nel procedimento nei confronti dell’imprenditore Giuseppe Grigoli e di Matteo Messina Denaro a proposito dell’impero Despar, finito sotto il controllo di Cosa nostra.

Il perito Giovanni Salamone e il coordinatore delle attività giudiziarie della Digital Italian Forensic, Luigi Furitano, hanno presentato una voluminosa documentazione al Tribunale per le misure di prevenzione di Trapani. Ma poi, perché Funaro raccoglieva i pizzina di Messina Denaro?

Il file degli “onorevoli da sistemare” riguarda tutti deputati regionali, ed è allegato ad una mail ricevuta da Funaro nel luglio del 2014, periodo in cui il Parlamento siciliano era impegnato nell’approvazione della Finanziaria 2014 e nella modifica della legge sugli appalti, proprio il settore di attività di Funaro.

Gli “onorevoli da sistemare” altri non erano che parlamentari con i quali mettersi in contatto ed esercitare probabilmente pressioni affinché sostenessero l’approvazione di un emendamento che le indagini non sono riuscite però ad individuare.

Tra i nomi indicati nel documento, 49 in tutto, anche quello del presidente Crocetta. Per ogni riferimento, segnato a fianco, gli inquirenti hanno trovato il cognome di chi doveva compiere ‘l’avvicinamento’ o comunque fare da mediatore.