Lo confesso. Sono fra gli italiani che non restano a casa. Dal lunedì al venerdì, la scorsa settimana – e ancora domani fino a quando sarà possibile – alle otto del mattino, apro la porta e prendo la macchina per andare al lavoro. Lascio i ragazzi a dormire ma poi li tampino via whatsapp perché comincino a studiare entro le 9. Succede per lo più soprattutto perché a quell’ora cominciano le lezioni on line organizzate con la buona volontà di alcuni professori. Si può fare, insomma.
L’informazione, in tempi di coronavirus e decreti della presidenza del consiglio dei ministri, viene considerato un servizio essenziale. E più che mai oggi considero la professione del giornalista come un elemento fondamentale nella formazione di una democrazia matura. D’altronde è il lavoro che svolge questo giornale on line: informarvi nel tentativo di offrire un servizio pubblico completo, di avvertire dei rischi, di offrire la cronaca del lavoro eccezionale dei medici e degli infermieri, dei loro successi e anche degli “insuccessi”. Il lavoro agile è stato attivato lì dove è stato possibile – anche nella mia redazione – ma un presidio è indispensabile con le opportune regole di salvaguardia.

Alle otto o giù di lì in macchina, attraversando le strade di Roma così desolatamente vuote. Tanto da registrare record della pista che spero presto di non ripetere: otto minuti di tragitto quando “normalmente” ne servirebbero – da Google Maps – 16 o 17 in condizioni di traffico fluide. Ma il traffico di Roma non è il tema di oggi. E’ piuttosto la sensazione di straniamento. Le macchine che si incrociano e che si contano sulla punta delle dita; gli operatori video che lavorano con mascherina e guanti; i redattori che smanettano al computer in aree sanificate; gli ospiti scomparsi dagli studi e tutti rigorosamente collegati via Skype. Un altro modo di lavorare. Un modo temporaneo ma essenziale. Che forse ha da insegnarci.
Magistrale ieri sera, in onda su La7, la puntata di Atlantide con Andrea Purgatori a condurla via Skype da casa. Perché – ha spiegato in apertura – essendo di ritorno dalle zone rosse del Nord Italia ha ottemperato al provvedimento della Regione Lazio che prevede per chiunque abbia frequentato quelle aree, quattordici giorni di autoisolamento precauzionale. Via Skype ha intervistato Emma Bonino, collegato da casa ha poi sentito il giornalista di Avvenire, Nello Scavo, anche lui al riparo delle sue mura. E tanto altro.

Per non parlare del salotto svuotato e silenzioso di Giovanni Floris a diMartedì. Non un applauso a interrompere i ragionamenti che – anche per la gravità del momento – sono stati dialoghi e non scontri. Un’Italia meno urlata. Che invece sceglie di incontrarsi sui balconi. L’appuntamento è alle 18, tutti i giorni – si spera che continui – per cantare e suonare. E conoscere quei vicini di casa che forse non si erano mai visti. Salutarsi, sorridersi. Oppure aspettare, pazientemente in fila, il turno per entrare al supermercato. E all’improvviso sentire scoppiare dai palazzi attorno un applauso. A cui sei “costretto” ad unirti per dare sfogo alle ansie, per convincerti che un altro modo di vivere insieme ci sia. Ne siamo capaci. Quando tutto sarà andato bene, non avremo tempo per perder tempo. Per rianimare le lotte fratricide dei nostri politici che vorranno intestarsi la vittoria raggiunta. Per dare fiato ai contrasti, per ridare vita al teatrino dell’odio sociale. Non dovremo perdere tempo perché saremo chiamati a risollevare le sorti economiche di un paese che, inutile dirlo, pagherà caro, economicamente, questo periodo di stop forzato ma obbligatorio per sopravvivere fisicamente.

Sarà il nostro post-guerra moderno. Sarà il boom di un nuovo inizio. Faticoso, lungo ma possibile. Anzi direi sicuro. Soprattutto perché lavorare a risollevare l’Italia è un dovere che abbiamo per consegnare ai nostri figli un paese più bello, più sicuro, più ricco, più pulito (anche ecologicamente visto l’abbattimento delle polveri sottili). Lo so è discutibile, qualcuno dissentirà, penserà che sono dietrologie smielate. Ma oggi voglio pensare che i miei figli ne abbiano diritto. E quando tutto sarà andato bene, abbiamo il dovere di essere cittadini consapevoli e scegliere. Di cambiare canale quando le platee saranno di nuovo piene di pubblico plaudente a comando, quando i politici torneranno a litigare. Non ne abbiamo più il tempo. E sinceramente neanche la voglia.