Giovanni Pizzo
Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio
La Sicilia da un quarto di secolo, non pochi anni, è prigioniera di un binomio antagonista. Voi penserete ad arancina Vs arancino. No, quasi, fuochino. L’antagonismo che tiene incollata l’isola senza un passo in avanti, in un’oscillazione immutabile senza un balzo della storia è quella tra Salvatore Cuffaro da Raffadali e Raffaele Lombardo da Grammichele. Quindi non un catanese della scogliera o della Civita, o un palermitano di via Libertà o del Borgo Vecchio, ma due epigoni di piccole cittadelle antiche e provinciali, terre di feudi e baronie, luoghi ancestrali tra il caos pirandelliano ed il verismo verghiano. In principio fu Mannino, Calogero, da Sciacca, il mentore di entrambi che, non se ne voglia, ha la colpa originaria.
Alla loro ascesa e disfida alla compare Alfio e Turiddo contribuì non Mascagni ma Gianfranco, Miccichè da piazza Politeama, prima con l’uno e poi con l’altro. Oggi dopo 25 anni entrambi sono lì a toreare sull’arena politica siciliana i manzi di circostanza, colpendo di banderillas, quando non di spada. Entrambi, tradendo un certo provincialismo, non escono dall’Isola se non per pochi giorni, non fanno come tanti politici siciliani che sono saliti a Roma e ascesi sui colli più alti, dal Viminale al Quirinale, passando per Chigi.
Nessuno di loro è mai stato ministro, anche se qualcuno l’abito da giuramento lo ha stirato. Son sempre rimasti qui a cercare consensi, con fare maniacale, indefesso, irrefrenabile. Vivono per il consenso e morirebbero senza di esso. E se si va a Roma il consenso si perde, soprattutto dal Mattarellum in avanti. Per cui stanno qui a percorrere strade polverose e diroccate, che forse starebbero in miglior stato se loro fossero andati nei luoghi dove i capitoli di bilancio dello Stato vengono gestiti, a cercare di strapparsi vicendevolmente consiglieri comunali, sindaci di lembi estremi, borgate di mare o di montagna. Fanno e disfanno maggioranze, alleanze, creando transumanze di voti e sostegni a potentati stranieri utili per governare. All’inizio eran separati ma coniugati, chi a Oriente chi ad Occidente, marciando divisi per colpire uniti, quando erano sotto l’influenza saccense. Oggi si confrontano in ogni campo o collegio elettorale.
E la comunità politica, l’ormai logoro parlamento siciliano, sono prigionieri del loro agone eterno, come nel bellissimo primo grande film, “I duellanti”, di Ridley Scott, con Keith Carradine ed Harvey Keitel. La Sicilia non va avanti e non avanza nella Storia fino a quando il duello è in corso, tutti fanno da padrini o da compari aspettandone l’esito. Che ovviamente non avverrà mai, perché notoriamente la Sicilia, terra di Cronos, ha tempo da perdere, e pure generazioni.
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