Quattro anni fa, sulla soglia dei 90 anni, Andrea Camilleri venne a Palermo ospite di “Una Marina di Libri”, che quell’anno si tenne al complesso monumentale di piazza Sant’Anna.

La sera di apertura dell’importante rassegna degli editori indipendenti – già allora un vanto per Palermo – Camilleri tenne banco con la sua lucida intelligenza, sagacia, ironia. Ad ascoltarlo una platea numerosa e partecipe (trovare un posto seduto nel vasto atrio era un’impresa).

Per l’occasione fu presentato il suo romanzo “La giostra degli scambi”. Ma del libro si parlò pochissimo. D’altra parte, si sa: i romanzi di Camilleri, soprattutto se della serie del commissario Montalbano, campioni di vendita, non avevano bisogno di presentazioni.

Piuttosto Camilleri discusse con Giorgio Manzini, per un’ora e mezzo, a briglie sciolte. Di tante cose: del suo rapporto con la scrittura, del commissario Montalbano, di letteratura e di poesia.

L’autore dei polizieschi del commissario Montalbano svelò alcuni segreti del suo successo di scrittore. Innanzitutto che quando scriveva dei romanzi li declamava ad alta voce per accertarne la musicalità e il ritmo. Se ciò che scriveva non gli suonava bene, il romanzo non funzionava. Anche per essere scrittori, perciò, come avrebbe detto Jannacci, “ci vuole orecchio”.

Il romanzo – sottolineò Camilleri – deve possedere una cadenza musicale, in un certo senso come la poesia, ma, come proprio la poesia, almeno quella classica, deve essere contenuto in formati standard. I suoi romanzi polizieschi – rivelò Camilleri- erano raccolti in un una sorta di format predefinito, un numero fisso di cartelle che corrispondevano a circa 180 pagine di libro stampato. Un po’ come accade per la poesia: un sonetto è composto da quattordici strofe di endecasillabi, due quartine e due terzine. Che il senso del ritmo fosse il punto di forza della sua narrativa lo aveva notato il celebre critico letterario Carlo Bo che nella sua narrativa aveva scovato un retroterra poetico.

La differenza tra i poeti e i narratori, osservò però Camilleri, è che i primi hanno la capacità di condensare in poche parole ciò che i secondi riescono a dire solo attraverso una ben più lunga elaborazione. I poeti hanno una felicità espressiva che ha la fonte in un’ispirazione quasi magica, tant’è che se si leggono i manoscritti di Leopardi si scopre che il primo verso è sempre intonso, privo di cancellature, quasi fosse stato dettato da una misteriosa voce interiore.

Camilleri parlò anche del suo commissario Montalbano svelando che dopo i suoi primi due romanzi della serie aveva deciso di non scriverne più. Ma fu una telefonata di Elvira Sellerio a predirgli che avrebbe abbandonato quel proposito. Il numero di vendite dei suoi romanzi “storici” cresceva vertiginosamente all’uscita delle sue storie di Montalbano.

Il loro successo si rifletteva sugli altri suoi libri. Ciò lo dissuase dall’abbandonare un personaggio, tanto diverso da lui, che garantiva ai suoi romanzi “storici”, quelli cui si sentiva più affezionato, un’eterna giovinezza, di rimanere cioè nel mercato ben oltre i limiti temporali ordinari dell’editoria.

A proposito dei suoi romanzi “storici”, Camilleri confessò che per tanti di loro si era inventato documenti inesistenti in base ai quali ha poi ricostruito le vicende narrate. Conquistandosi l’invidia degli storici di professione costretti ad accontentarsi di documenti veri.

Fu una serata magica, indimenticabile per chi ebbe la fortuna di assistere all’intervista al più prolifico degli scrittori. Che ora, migrato in più alte sfere, mai si stancherà di raccontare a tutti – dagli angeli ai santi e ai comuni trapassati – le sue seducenti storie. La sua sterminata fantasia non temerà di certo l’eternità.

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