Stavano ricostruendo il tessuto mafioso fra Sciacca e Menfi nel territorio della valle del Belice. Con questa accusa i carabinieri, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno arrestato otto persone fra cui il presunto reggente della famiglia di Menfi e un medici di base che prestava il suo studio per i summit mafiosi.

L’operazione, denominata Opuntia, è stata condotta dai carabinieri della Compagnia di Sciacca.

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L’operazione è frutto di una complessa e articolata attività investigativa sviluppata negli ultimi due anni dai Carabinieri della Compagnia di Sciacca, coordinati dal Comando Provinciale di Agrigento, sulle attività criminose del mandamento del Belice ed, in particolare, della famiglia mafiosa di Menfi e sui contatti intrattenuti dai suoi principali esponenti con Leo Sutera detto “il professore” ritenuto nel periodo 2010 – 2012 il capo della provincia di Agrigento e con Pietro Campo, esponente di vertice della famiglia mafiosa di Santa Margherita Belice.

Il livello dei personaggi interessati e le modalità di svolgimento degli incontri hanno fatto comprendere come le relazioni fossero funzionali alla ricostruzione ed alla ricomposizione della mafia nell’area geografica di Sciacca e Menfi già disarticolato con precedenti operazioni.

Le riunioni e gli incontri avevano luogo all’interno di autovetture, appartamenti di proprietà dei sodali ed in casolari di campagna ed erano caratterizzati da rigidi protocolli di sicurezza tesi ad eludere eventuali attività di controllo investigativo.

In tale ambito, Vito Bucceri, che viene ritenuto al vertice della famiglia di Menfi, si avvaleva di un collaudato e fedele numero di collaboratori in grado di costruirgli attorno un circuito relazionale che tentava di blindarlo evitando la penetrazione investigativa.

Allo stesso tempo, Pellegrino Scirica, medico di base, non esitava a mettere a disposizione il proprio studio professionale per lo svolgimento di incontri riservati tra i componenti del gruppo medesimo, così consentendo la veicolazione di messaggi e indicazioni tra i componenti del gruppo ed altri esponenti di famiglie mafiose dei territori limitrofi. Le indagini hanno pertanto permesso di ricostruire e di documentare attraverso le intercettazioni telefoniche come gli indagati avessero la consapevolezza di far parte di un segmento inquadrato nel più ampio contesto criminale di Cosa Nostra siciliana e si adoperassero per mantenerlo in vita.