- Il giudice Rosario Livatino è stato proclamato Beato
- Papa Francesco lo ricorda come esempio di vita, soprattutto per i magistrati
- Don Ciotti, presidente di Libera: “Attenti a non farne un ‘santino'”
Le parole di Papa Francesco
“Oggi ad Agrigento è stato beatificato Rosario Angelo Livatino, martire della giustizia e della fede nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo che non si è lasciato mai corrompere. Si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro lo poneva sempre sotto la tutela di Dio, per questo è diventato testimone del Vangelo, fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo a essere leali difensori della legalità e della libertà”. Lo ha detto il Papa al Regina Caeli.
Il monito di don Ciotti
“Il miglior modo per ricordarlo è imitarlo nel suo luminoso esempio di virtù civili e cristiane. Ora che è beato, dobbiamo stare attenti a non farne un ‘santino’ da invocare o da celebrare. Il miglior modo per ricordarlo è invece imitarlo nel suo luminoso esempio di virtù civili e cristiane. Oggi più che mai, Rosario Livatino vive”. Lo afferma don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele.
“Rosario Livatino – aggiunge – vive nella memoria di chi l’ha conosciuto. Vive nel lavoro della cooperativa di giovani che porta il suo nome, e coltiva le terre confiscate ai boss. Vive nell’ammirazione di tanti magistrati, giuristi e studenti che a lui si ispirano nel coltivare l’amore per il diritto e soprattutto per i diritti di ogni persona. Vive nell’impegno di chiunque si spenda contro ogni forma di prepotenza, violenza e sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Rosario Livatino non era un uomo dalle grandi certezze, ma piuttosto dalle grandi e coraggiose domande. Il dubbio, la domanda profonda e feconda, erano il motore del suo pensiero e la premessa del suo agire. Sia nella fede che nella professione. Non gli interessavano una fede esibita o una carriera brillante. Aderiva con sincerità di cuore al Vangelo e lo incarnava nelle sue scelte di vita. Con altrettanta sincerità – ricorda ancora don Ciotti – aderiva alla legge per farla rispettare, sapendo però che la legge è sempre solo un mezzo, mentre il fine è la giustizia. L’abitudine a interrogare senza sconti la propria coscienza non lo rendeva incerto nell’azione. Era anzi un magistrato risoluto, capace di portare avanti inchieste scomode e imboccare strade innovative, ad esempio riguardo alla confisca dei beni mafiosi. Un’altra sua caratteristica era l’enorme senso di responsabilità. Si sentiva responsabile verso lo Stato – afferma ancora don Ciotti – e verso il ruolo di tutore della legge che gli aveva affidato”.
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