“Accogliendo il desiderio del cardinale Montenegro, concediamo che il venerabile servo di Dio Angelo Rosario Livatino d’ora in poi sia chiamato beato e che, ogni anno, si possa celebrare la sua festa il 29 ottobre”.
E’ con queste parole che il giudice Livatino è stato proclamato beato nel corso di una cerimonia solenne celebrata nella cattedrale di Agrigento.
Il reliquiario nella Cattedrale di Agrigento
In contemporanea il reliquiario dove è contenuta la camicia indossata dal beato il giorno in cui venne ucciso dalla mafia è stato collocato in una teca della cattedrale. Si tratta di un reliquiario realizzato in argento martellato e cesellato.
Chi era Rosario Livatino
Primo e unico figlio di Vincenzo Livatino e Rosalia Corbo, Rosario Angelo Livatino nacque a Canicattì, Provincia e Arcidiocesi di Agrigento, il 3 ottobre 1952 e fu portato al fonte battesimale il 7 dicembre successivo nella locale chiesa parrocchiale di San Pancrazio. Terminati gli studi ginnasiali-liceali dal 1958 al 1971, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, dove il 9 luglio 1975 conseguì la Laurea con il massimo dei voti. Sulla tesi scrisse il suo motto: “Sub tutela Dei”. Superato il concorso per entrare in Magistratura, fu impiegato presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Dal 18 luglio 1978 lo troviamo attivo per il tirocinio presso il Tribunale di Caltanissetta. Il 24 settembre 1979 gli vennero conferiti gli impegni giurisdizionali con l’immissione in ruolo e con l’incarico di Uditore giudiziario con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento. Il 21 agosto 1989 gli fu affidato l’incarico di Giudice della sezione penale presso lo stesso Tribunale di Agrigento, che egli svolse per poco più di un anno. La mattina del 21 settembre 1990, infatti, mentre si recava senza scorta con la sua Ford Fiesta da Canicattì al Tribunale di Agrigento, cadde per mano di un commando di killer mafiosi, agli ordini delle Stidde di Canicattì e Palma di Montechiaro, di Cosa Nostra, e che odiavano la sua fede e la sua integrità nell’esercizio della giustizia.
Ucciso “in odium fidei”
Nel dicembre scorso, la Santa Sede ha riconosciuto il martirio di Livatino “in odium fidei”, cioè in odio alla fede. Papa Francesco ha, quindi, autorizzato la promulgazione del decreto nel corso di un’udienza con il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.
Per sostenere il processo di canonizzazione sono stati raccolti, durante il tempo, documenti e testimonianze per un totale di 4mila pagine. Tra i testimoni c’è anche uno dei killer del giudice ragazzino, Gaetano Puzzangaro, che sta scontando l’ergastolo. Il motto di Livatino era, come detto, “sub tutela dei”, ovvero sotto la tutela di Dio, la sigla con cui chiudeva le sue annotazioni in agenda. Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”.
Ieri sera la veglia di preghiera
Ieri sera, nella chiesa di S. Domenico a Canicattì, l’Arcivescovo Coadiutore ha presieduto una celebrazione vigiliare in attesa della beatificazione.
Tutte le comunità dell’Arcidiocesi sono state invitate a unirsi alla preghiera della Chiesa Agrigentina, celebrando in segno di comunione la stessa veglia.
La celebrazione è stata trasmessa da Canicattì in diretta streaming sul canale YouTube dell’Arcidiocesi di Agrigento.
Il ricordo del governatore Musumeci
“Credo sia un giorno di festa per tutta la Sicilia, e non soltanto per noi siciliani, perché la Chiesa riconosce beato un magistrato che ha saputo conciliare il Vangelo col valore del Codice penale, la parola di Cristo con la legge. E proprio per questo ha pagato con la vita, perché costituiva un esempio molto pericoloso per le organizzazioni criminali. Per questo la mafia ha voluto eliminarlo. Io credo che debba essere indicato come modello di vita, paradigma per tutti i giovani con i quali abbiamo il dovere di costruire, e stiamo costruendo, una nuova Sicilia”. Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, a margine della cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino.
Commenta con Facebook