Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Agrigento in questi giorni ha eseguito un decreto di confisca, per un ammontare di oltre 19,5 milioni di euro, nei confronti del nucleo familiare di origine di Angelo Stracuzzi, licatese di 49 anni.

I beni confiscati sono; cinque aziende operanti nell’ambito della produzione di calcestruzzo: “Stese” S.r.l. di Ravanusa, “Stral” S.r.l., “Esse Costruzioni”, ditta ind.le Angelo Stracuzzi e ditta ind.le Letizia Stracuzzi, tutte di Licata; quote di partecipazione in un’impresa edile (“El Sombrero” S.r.l. di Licata) ed in una di ristorazione (“Ser.A.Va.” S.r.l., di Licata); due appartamenti e sei fabbricati rurali, tutti situati a Licata; due autoveicoli di grossa cilindrata (marca BMW); terreni situati nella zona industriale Licata Est per un’estensione complessiva pari a circa 54 ettari .

La confisca trae origine da una lunga ed articolata attività di indagine patrimoniale, iniziata nel giugno del 2007 su delega della D.D.A. di Palermo, nei confronti di Angelo Stracuzzi e del padre Giuseppe (nel 2007 condannato in primo grado per mafia, poi assolto in appello nel 2009).

In esito agli accertamenti condotti dagli investigatori ed alle proposte formulate dalla DDA, nei mesi di aprile e novembre 2009 il Tribunale di Agrigento aveva emesso due distinti decreti di sequestro nei confronti di beni immobili e di società direttamente o indirettamente riconducibili ad Angelo Stracuzzi ed a componenti del suo nucleo familiare.

Successivamente, con decreto del gennaio 2011, il Tribunale di Agrigento disponeva la confisca di parte dei beni già sequestrati nel 2009, osservando come le attività riconducibili al gruppo familiare degli Stracuzzi avevano ottenuto
”appalti e/o subappalti, tramite la propria capacità criminale diffusa nel territorio di Licata”, evidenziando che ”gli investimenti fatti dai proposti e dai loro congiunti hanno un valore che risulta sproporzionato rispetto alle disponibilità economiche e ai redditi lecitamente prodotti dai soggetti a carico dei quali sono stati svolti gli accertamenti” e che “è dunque palese che i beni di cui i proposti hanno la disponibilità rappresentino il frutto del rapporto di stabile collusione e provento della attività illecita, esercitata anche avvalendosi dei metodi della intimidazione mafiosa, e pertanto, sussistono indizi idonei a lasciare fondatamente desumere che i beni di cui si chiede il sequestro e la confisca siano frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego”.

A seguito di questo decreto i soggetti che avevano subito la confisca avevano fatto ricorso prima presso la Corte di Appello di Palermo e poi presso la Corte di Cassazione, ma entrambi gli Organi giurisdizionali avevano rigettato i ricorsi confermando le confische, divenute irrevocabili a dicembre 2015.

Per le forze dell’ordine, la definitività dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale conferma l’elevata pericolosità sociale di Angelo Stracuzzi, determinata dalla sua vicinanza alla consorteria mafiosa “cosa nostra”, e testimonia l’importanza attribuita dalla Guardia di Finanza al contrasto alla criminalità organizzata sul piano economico-finanziario, che si concretizza nelle investigazioni patrimoniali volte a scovare e sequestrare le ricchezze illegalmente accumulate.

La lotta ai patrimoni criminali illeciti si è rivelata, infatti, uno degli strumenti più efficaci per tutelare gli imprenditori onesti e le aziende sane dai tentativi di concorrenza sleale, inquinamento e sopraffazione della mafia, costituendo, nei fatti, un vero e proprio caposaldo di legalità a tutela dell’intera società civile.