La prima sezione della Corte d’Appello di Palermo, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato il ministero della Salute al risarcimento di un milione e 400 mila euro complessivi agli eredi di una donna di Agrigento che, nel 1989, all’età di 47 anni, nel corso di un ricovero in un ospedale di Firenze, sottoposta ad una trasfusione di sangue infetto, ha contratto l’epatite C.
Nel corso degli anni il virus ha compromesso la salute della donna, le cui condizioni si sono aggravate a causa della comparsa, quale conseguenza del contagio HCV, di un tumore al fegato che, nel 2008, al’età di 66 anni, ne ha determinato la morte.
Già con sentenza dell’ottobre 2012, a conclusione del giudizio instaurato dagli eredi contro il ministero della Salute, il tribunale di Palermo, accogliendo le richieste degli avvocati Angelo Farruggia ed Annalisa Russello, aveva condannato il ministero a risarcire la somma complessiva di un milione e quattrocentomila euro: 700 mila euro circa per ognuna delle due giovani figlie, in quanto ritenuto responsabile “di avere favorito, con l’omissione dei controlli già all’epoca previsti dalla legge in materia di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue, che in grosse quantità veniva importato da paesi come l’Asia e l’Africa, ad alto rischio patogeno, una vera e propria epidemia colposa per la diffusione del virus dell’epatite C”.
Contro la sentenza, il ministero della Salute, con l’Avvocatura di Stato, aveva proposto appello sostenendo che, “in ragione dell’epoca della trasfusione, non poteva riconoscersi in capo al ministero alcuna colpa, non risultando in quel periodo disponibili i test per controllare che il sangue non fosse infettato dal virus HCV”.
La Corte di Appello di Palermo, accogliendo le difese degli avvocati Angelo Farruggia ed Annalisa Russello, ha confermato la sentenza di primo grado affermando che “lo Stato è tenuto a pagare, poiché ha violato il dovere istituzionale di controllo nell’attività di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue. Controlli, che se effettuati, con probabilità avrebbe impedito il contagio”.
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