Nel 2014, la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana, accogliendo parzialmente le istanze della Procura, aveva condannato in primo grado l’ex Presidente della Provincia regionale (oggi “Libero Consorzio Comunale di Agrigento), Eugenio Benedetto D’Orsi, il vice segretario della Provincia, Ignazio Gennaro e la funzionaria Giuseppina Miccichè al pagamento, rispettivamente, di 24.127,72 euro, 11.224,74 e 837,33, a titolo di risarcimento per varie partite di danno arrecate all’Ente, derivanti da presunti indebiti rimborsi di spese per cene e pranzi ed altre varie spese di rappresentanza che, secondo il Giudice di primo grado, non apparivano riconducibili ad attività istituzionali né supportati da congrue motivazioni.

Avverso la sentenza sono stati proposti distinti appelli da D’Orsi, con il patrocinio dell’Avvocato Girolamo Rubino, dal vice segretario Gennaro e dalla funzionaria Miccichè, rispettivamente assistiti da Alessandro Dagnino e Antonino Gaziano,

Il collegio giudicante, dopo le sentenze penali di proscioglimento degli imputati, ha accolto gli appelli riuniti ed ha annullato le statuizioni di condanna rese in primo grado.

Con la medesima pronuncia, inoltre, la Corte dei Conti ha condannato il Libero Consorzio Comunale (ex Provincia regionale) di Agrigento al pagamento delle spese di difesa sostenute dagli appellanti per entrambi i gradi di giudizio e liquidate nelle misure di complessivi:2.500 euro, in favore del prof. D’Orsi, 2.000 euro in favore del Gennaro, 1.500,00 euro , in favore della Miccichè.

Lo scorso 21 maggio, i giudici della Corte d’appello hanno ribaltato la sentenza di primo grado e hanno cancellato la condanna a 4 mesi di reclusione, inflitta per l’accusa di “corruzione per l’esercizio della funzione”, a Eugenio D’Orsi, che ha dovuto quindi affrontare un altro processo.

Il politico del Movimento per l’autonomia, che ha commentato il lacrime il verdetto, era accusato di essersi fatto dare da un vivaista 40 palme del suo negozio, destinate alla sua villa di Montaperto, quartiere di Agrigento, in cambio di un appalto consistente nella vendita all’ente di tutte le piante dell’attività, prossima alla chiusura.
I giudici di appello hanno cancellato il verdetto con una sentenza di assoluzione nel merito pur trattandosi di un reato, con ogni probabilità, prescritto.