La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di carcere per Orazio Rosario Cavallaro, il sessantunenne di Ravanusa (Ag), accusato di avere ucciso Angelo Carità, 56 anni, di Licata, che venne freddato a colpi di pistola, nei pressi della sua casa, il giorno di Pasquetta del 2018.

In primo grado condannato all’ergastolo, ma liberato

L’assassino in primo grado era stato condannato all’ergastolo per omicidio, ma si trovava in stato di libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. Il gup del tribunale di Agrigento, Luisa Turco, aveva condannato all’ergastolo Cavallaro, pregiudicato di Ravanusa finito in carcere il 2 ottobre 2018 con l’accusa di essere il killer che il 2 aprile 2018, giorno di Pasquetta, uccise a Licata (Ag) il coetaneo Angelo Carità.

In appello pena ridotta a 30 anni di galera

In appello la pena era stata ridotta a 30 anni ed oggi è stata confermata dalla Suprema Corte.

Cavallaro, secondo i giudici, ha messo a segno il delitto che sembrerebbe collegato all’omicidio commesso a sua volta da Carità. La vittima era stata condannata per l’omicidio di Giovanni Brunetto, l’imprenditore agricolo di 56 anni ucciso e sotterrato nella casa di campagna di un avvocato di cui Carità aveva la chiave perché stava svolgendo alcuni lavori agricoli.

L’omicidio a Pasquetta del 2018

Carità era stato barbaramente ucciso a colpi di pistola, la mattina di Pasquetta, davanti al cancello del proprio terreno agricolo, a Licata. Il corpo, poco dopo, era stato ritrovato dalla moglie che aveva subito telefonato in caserma. A sei mesi esatti, è arrivata la svolta nelle indagini.

Il caso, subito rivelatosi molto complesso, tenuto conto anche dell’assenza di testimoni, ha visto dapprima l’intervento della sezione Investigazioni Scientifiche del Reparto Operativo, che ha effettuato uno scrupoloso sopralluogo sulla scena del crimine. Poi una miriade di pedinamenti ma, anche l’acquisizione e l’analisi meticolosa delle immagini degli impianti di video-sorveglianza di tutta la città di Licata.

Immagini in cui si sono potute scorgere le fasi concitate dello spietato agguato, nel corso del quale il killer, giunto a piedi ed indossando un giubbotto, aveva esploso il colpo di grazia alla vittima. L’analisi di un imponente quantitativo di materiale video acquisito, ha consentito di ripercorrere il tragitto compiuto dalla vittima negli attimi precedenti all’omicidio.

Tradito dal giubbotto sporco di sangue della vittima

In particolare, gli investigatori dell’Arma sono riusciti ad evidenziare un’auto intenta, sia a pedinare per un breve tratto di strada la vittima, sia ad effettuare alcuni passaggi presso l’abitazione della stessa.

La successiva perquisizione domiciliare effettuata nei confronti del sospettato, in quanto utilizzatore di tale veicolo, ha permesso poi di scovare un giubbotto, abilmente occultato e simile a quello indossato dal killer, riportante sulla manica destra delle piccole macchie di sangue.

I conseguenti esami di laboratorio svolti dagli specialisti dei Carabinieri del Ris di Messina hanno confermato che le macchie sul giubbotto in questione, altro non erano che tracce ematiche riconducibili alla vittima dell’omicidio.

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