Il questore di Agrigento, Emanuele Ricifari, ha vietato, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, i funerali pubblici per il presunto boss di Licata Giovanni Lauria. L’uomo, 83 anni, è ritenuto come sostenuto dai magistrati che coordinarono l’operazione “Xydi” il “capo della famiglia mafiosa di Licata”. Lauria è morto domenica scorsa, verosimilmente, a causa di un infarto.

Esequie in forma privata

L’anziano è stato ritrovato senza vita da alcuni familiari, che non riuscivano a contattarlo e si sono recati nella sua abitazione. Giovanni Lauria era stato scarcerato, dopo essere stato recluso al carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, nel marzo del 2020. Gli vennero concessi i domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico, a causa dell’età avanzata. La salma è stata accompagnata dai soli familiari e parenti, in forma privata, al cimitero di Licata per la benedizione e la successiva tumulazione.

Scarcerato nel 2020

Gli vennero concessi i domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico, a causa dell’età avanzata. Secondo quanto emerse dall’inchiesta antimafia “Xydi” della Dda di Palermo, l’ormai ex avvocato Angela Porcello, informava come riportato nel provvedimento di fermo Giovanni Lauria su quanto comunicatogli dall’ergastolano Giuseppe Falsone.

I legami e la guerra di mafia

Scelta non casuale perché Lauria “vantava – avevano scritto gli inquirenti – con il Falsone un risalente e saldissimo legale mafioso. Tanto da avergli assicurato un prezioso appoggio durante il drammatico conflitto che, negli anni 2000, l’ergastolano aveva avuto con Maurizio Di Gati (collaboratore di giustizia, ndr) per la conduzione della provincia mafiosa di Agrigento”.

Il profilo e la caratura criminale

Un uomo d’onore all’antica che sa mantenere i rapporti non solo con i boss e i gregari locali ma anche con le famiglie catanesi, ennesi e del Trapanese. Nelle intercettazioni eseguite dal Ros viene sottolineata la caratura criminale del “Professore”il quale, in qualità di portavoce di Giuseppe Falsone,  è stato protagonista di dinamiche associative di assoluto rilievo che hanno visto coinvolti i massimi vertici di Cosa Nostra siciliana. “Lui è messo dopo Riina e Provenzano, poi c’è messo lui a livello di … è stato il postino di Provenzano, sia il postino del cognato di Provenzano e poi coordinatore di tutte le province”. In qualità di mafioso “vecchio stampo”, il ‘professore’ rispetta le regole della cosiddetta “vecchia mafia” , quali il disprezzo per il traffico di droga e il divieto di uccidere donne e bambini, ma, nel contempo, è inflessibile nel punire chi si è reso responsabile di una mancanza.

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