E’ ripreso, davanti alla corte d’appello di Caltanissetta, il processo all’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante, condannato in primo grado a 14 anni per associazione finalizzata alla corruzione e acceso abusivo al sistema informatico.

Prosegue l’interrogatorio, cominciato ieri, dell’imprenditore, a giudizio insieme a Diego Di Simone, l’ex ispettore di polizia diventato il capo della security di Confindustria, Marco De Angelis, ex funzionario della questura,

Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta, Andrea Grassi, ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia. Montante sarebbe stato al centro di una attività di dossieraggio realizzata, anche grazie a complicità eccellenti, attraverso l’accesso a dati delle forze dell’ordine e finalizzata a ricattare “nemici”, condizionare attività politiche e amministrative e acquisire informazioni su indagini in corso.

Ieri Montante arrivato in Tribunale aveva detto.  “Sono stato e resto un uomo delle istituzioni. Sono stato strumento delle istituzioni e in particolare dei magistrati”. Antonello Montante, l’ex leader di Sicindustria e paladino dell’antimafia condannato a 14 anni per associazione a delinquere, ha deciso di rompere il silenzio che durava dal 2018.

Alla corte d’appello ha annunciato sue dichiarazioni. E si capisce subito di che tenore saranno: “Tutto mi aspettavo — dice fuori dall’aula — anche di essere ucciso per il mio impegno a favore della legalità. Ma non di finire sotto processo. E, invece, sono qui. Rifarei tutto quello che ho fatto”.

Montante parla, ma non per confessare. Piuttosto per accusare. E parla dei “traditori”. Racconta una storiella mentre i giornalisti lo incalzano di domande: “Quando due persone rubano, può accadere che uno dei due dica: “Non me la sento più”. E tradisca. Questo posso arrivare ad ammetterlo. Ma non ammetto che per accusare si prenda qualcuno dalla strada, qualcuno che non c’entra niente. Questi sono calunniatori e basta”.

Ma chi sono i traditori? Montante dice e non dice. L’ex paladino dell’antimafia già lancia i suoi messaggi. Eccone un altro: “Una frase di Papa Francesco mi ha consentito di superare questo momento. Dice così: “Nella vita è bello non fare del male”. Con queste parole sono riuscito a resistere e a perdonare i traditori. Io non parlerò male, parlerò della verità, cioè di quello che abbiamo fatto” . Parla sempre al plurale. “Ho sacrificato la vita per le istituzioni”.

Montante nega di avere mai costruito dossier per colpire i suoi nemici. “Io scrivevo tutto perché la mia paura era quella di non ricordare”.

E se la prende con i giornalisti: “Quando volete raccontare la verità lo fate bene. Quando non volete, non lo fate”. Ma perché registrava le telefonate? “Non è vero – risponde – è una cosa falsa, sono alchimie che vengono create. Lo fa anche la Chiesa, i lo fanno anche i Cappuccini”.

Ma ora che c’entrano i frati Cappuccini? E aggiunge: “Nel 2015, quando seppi dell’inchiesta, rimasi sconvolto. E per preparare la mia difesa, raggruppai tutte le mie agende in un unico file”.

La sentenza di primo grado parla dei ricatti di Montante. Lui nega. E poi si allontana velocemente quando gli chiediamo delle pen drive che distrusse poco prima dell’arresto. “Nessuna distruzione – insiste – Ho solo trasferito il contenuto delle pen drive che mi davano le mie segretarie in un’unica pennetta” . Gli chiediamo ancora: in quelle pen drive distrutte e lanciate dalla finestra, come risulta dal verbale ( con tanto di foto) della polizia, c’erano le telefonate segrete dell’inchiesta Trattativa fra l’allora presidente della Repubblica Napolitano e l’ex ministro Mancino? Montante corre via, e si infila velocemente dentro l’aula bunker.

Il processo sarà a porte chiuse. La difesa del generale Gianfranco Ardizzone si oppone all’ingresso dei giornalisti, come invece vorrebbe l’ex leader di Confindustria. I due amici di un tempo adesso sono divisi. Montante vorrebbe lanciare la sua difesa in modo eclatante, Ardizzone lo stoppa. A chi fanno paura le dichiarazioni di Montante? Il professore Carlo Taormina prova a gettare acqua sul fuoco: “Quando ha detto che è stato strumento dei magistrati voleva semplicemente dire che ha lavorato al loro fianco, per costruire progetti di legalità”, e aggiunge: “Poi, non capisco perché voi giornalisti avete distrutto un cammino importante di legalità costruito da Confindustria in Sicilia”. Ancora una volta è colpa dei giornalisti. Intanto, al processo, viene sentito il grande accusatore, Alfonso Cicero: due giorni fa, il gip ha archiviato l’indagine che lo vedeva indagato per calunnia e manipolazione di atti giudiziari dopo una denuncia di Salvatore Iacuzzo, l’ex direttore del consorzio Asi di Caltanissetta. Nel pomeriggio, tocca a Montante. Esordisce: “Ho sempre lottato la mafia”. Rivendica: “Marco Venturi fu indicato da me come assessore per la giunta Lombardo » . Montante prova a riprendersi il ruolo di gran regista dell’antimafia e della politica siciliana.

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