Quello messo in piedi dall’ex magistrato Silvana Saguto era un “sistema”, ma non un’associazione a delinquere. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, pubblicate oggi da alcuni quotidiani, con cui il Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Andrea Catalano, ha condannato, tra gli altri, la Saguto a 8 anni sei mesi e l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara a 7 anni e sei mesi.

Le motivazioni della sentenza

Secondo il tribunale “i reati sono stati commessi ciascuno in adesione a un patto corruttivo, di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti senza che mai si possa individuare l’appartenenza a un gruppo stabile e duraturo”. Sull’associazione a delinquere, dunque il tribunale non ha accolto la ricostruzione della Procura, rappresentata in aula dai Pm Claudia Pasciuti e Maurizio Bonaccorso.

Non accertata struttura organizzativa

“Ciò che manca nel caso di specie – si legge nelle motivazioni – è l’accertamento dell’esistenza di una struttura organizzativa idonea a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira. Nel caso di specie i pretesi reati fine o scopo dell’associazione hanno la caratteristica di essere commessi ciascuno di essi in adesione a un patto corruttivo di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti, senza che mai si possa individuare l’appartenenza ad un gruppo stabile e strutturato”. Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, ormai radiata dalla magistratura avrebbe messo in atto una “grave distorsione – per tempi, modalità e protrazione delle condotte – delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia”.

Competenza in secondo piano rispetto a  patto corruttivo

La competenza dell’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara non viene messa in discussione ma, secondo la ricostruzione del tribunale, passava in secondo piano di fronte al patto corruttivo. Cappellano, scrivono i giudici, otteneva gli incarichi perché così avrebbe ricambiato il favore alla Saguto che – sottolineano i giudici – aveva problemi finanziari: “Le risultanze delle indagini preliminari hanno dimostrato – si legge nelle motivazioni della sentenza – come la principale fonte di reddito di Lorenzo Caramma (ingegnere e marito di Saguto) negli anni dal 2006 e sei al 2015 siano proprio i compensi corrisposti da Cappellano Seminara quale libero professionista e quale amministratore giudiziario”. In un altro passaggio si legge: “Seminara non riceveva lucrosi incarichi dalla Saguto per le sue indiscusse capacità professionali quanto invece perché lo stesso poteva ricambiare attraverso il conferimento d’incarichi al marito e attraverso le dazioni di utilità indebite”.