Nel processo sul cosiddetto “sistema Montante” scattano 8 prescrizioni e tra loro figura anche il presidente della Regione Renato Schifani. Il processo scaturiva dalle indagini sull’ex presidente di Sicindustria Antonello Montante, condannato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. Il presidente del tribunale di Caltanissetta Francesco D’arrigo ha comunicato questa mattina che sono giunti i termini di prescrizione per 8 imputati di questo troncone del processo Montante. Schifani era imputato di rivelazione di segreto d’ufficio.

Gli altri imputati “salvati”

Gli altri imputati per i quali è scattata la prescrizione sono il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata e il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece. Sono poi il tributarista Angelo Cuva, l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il sindacalista Maurizio Bernava. Fra loro anche i fratelli Andrea e Salvatore Calì, imprenditori nel settore sicurezza. I difensori degli otto imputati dovranno intervenire nelle prossime udienze per comunicare se la prescrizione verrò accettata oppure intendono continuare il processo.

Nei giorni scorsi le motivazioni della condanna in appello

Appena qualche giorno fa i giudici della Corte d’Appello hanno pubblicato le motivazioni nella sentenza su Antonello Montante condannato a 8 anni. I giudici scrisseo che “in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici, non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”. L’industriale aveva attivato la sua rete di complici che gli consentivano di accedere alle banche dati della polizia per ottenere informazioni.

La “stanza segreta”

Secondo i giudici “molti dei dati rinvenuti nella ‘stanza segreta’ dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito”. Gli accessi “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della polizia di Stato. Montante si legge ancora nella sentenza sul suo sistema “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scrivono i giudici “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.

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