E’ ruotato tutto attorno alla figura del falso pentito Vincenzo Scarantino l’udienza a Caltanissetta sul processo al depistaggio per la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. “Il più grande depistaggio della storia italiana nasce a Pianosa – ha detto Stefano Luciano, il pubblico ministero che ha tenuto la sua requisitoria -.  Quindici giorni dopo l’arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto il 29 settembre 1992, atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta Tinebra una nota del Sisde veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale incredibilmente, il servizio segreto anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso”.

La tesi dell’accusa

Secondo l’accusa gli imputati del processo, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare cose non vere, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. I tre sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. “I suoi precedenti – ha aggiunto Luciani – erano assolutamente distonici rispetto al quadro che si vuole rappresentare. Da quel momento Vincenzo Scarantino subisce un pressing asfissiante. A Venezia, a Busto Arsizio, viene sottoposto a interrogatori costanti e ripetuti. Viene sottoposto a plurimi procedimenti penali a condanne per traffico di droga, rinviato a giudizio per la strage. Vincenzo Scarantino arriva al 24 giugno 1994 che è un uomo esasperato”.

“Moglie di Scarantino disse che lo torturavano”

La moglie di Vincenzo Scarantino – ha continuato Luciani – raccontò che lui era un uomo robusto di oltre 100 chili, quando lo vide a Venezia era già ridotto alla metà, a Pianosa è ormai in condizioni terribili. Perchè Scarantino, è lui stesso a raccontarlo alla moglie Rosalia Basile, in carcere è vittima di pressioni psicologiche e minacce. E chi sono gli autori? Scarantino aveva raccontato alla moglie che aveva incontrato a Pianosa Arnaldo La Barbera. Scarantino veniva minacciato di morte, gli veniva detto che gli facevano fare la fine di un ragazzo che era morto in carcere. Erano loro i poliziotti di La Barbera. La moglie disse a verbale che Scarantino le diceva: ‘Non mi lasciano in pace sono sempre qua’. La donna riferiva sempre esattamente quello che le diceva il marito. Scarantino veniva malmenato, gli mettevano i vermi nella minestra, gli hanno instillato il dubbio di essere affetto da Hiv. Lo facevano spogliare nudo, gli dicevano che lo volevano impiccare”.

La lettura delle dichiarazioni della moglie di Scarantino

“Mio marito – ha detto Luciani leggendo in aula le dichiarazioni rese da Rosalia Basile – mi diceva che gli avevano iniettato il siero dell’Aids, sapendo che era geloso, gli instillavano il dubbio che io avessi l’amante”. “Sono esattamente le stesse cose – ha continuato il pm – che ha ripetuto 21 anni dopo davanti a questo tribunale”. E ancora la moglie riferiva: “Io so che questo Arnaldo La Barbera non lo lasciava in pace, capendo che era un soggetto fragile. Lui mi ha sempre detto che non c’entrava nulla con la strage ma che gli avevano promesso la libertà e denaro”.

“Scarantino ammise di aver recitato un copione”

“Mi hanno spogliato nudo e mi colpivano i genitali con la paletta – ha sempre riferito il pm in requisitoria -, mi dicevano di guardare a terra e mi colpivano se guardavo a terra, mi buttavano l’acqua gelata mentre dormivo nella cella. Tutto questo dietro la promessa: ti facciamo uscire da qui e ti diamo 200 milioni di lire. Questo raccontava Vincenzo Scarantino alla moglie Rosalia Basile ed è un cliché che si ripete con Salvatore Candura, al quale vengono fatte le stesse promesse e le stesse pressioni psicologiche. Alla fine Scarantino sotto il peso delle pressioni cede e si accolla le accuse: cioè il furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba per la strage. Scarantino ha poi detto: ho recitato un copione esattamente come mi era stato detto di fare da Arnaldo La Barbera e dal poliziotto Mario Bo”.

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