Eccezioni preliminari, sulle quali la Corte d’assise di Catania si è riservata di decidere, hanno caratterizzato la prima udienza del processo al 45enne Andrea Bellia accusato di avere ucciso 26 anni fa la 17enne Simona Floridia, il cui corpo non è stato trovato. Il procuratore di Caltagirone, Giuseppe Verzera, gli contesta l’omicidio volontario premeditato. Tra le prove citate dall’accusa contro Bellia la sua confessione a un amico (‘sono stato io’), confermata dal teste in sede di incidente probatorio, ma sempre smentita dall’imputato. Bellia è libero e, assistito dall’avvocato Fabiana Michela Distefano, si è sempre proclamato innocente. La prossima udienza del processo, in cui la famiglia si è costituita parte civile con il penalista Giuseppe Fiorito, si terrà il 29 novembre. Simona Floridia scomparve la sera del 16 settembre del 1992 da Caltagirone. Era uscita con degli amici e poi, prima di rientrare a casa, ricostruirono alcuni di loro, fece un giro in Vespa con Bellia, allora 19enne. Per l’accusa, i due sarebbero andati a Monte San Giorgio dove avrebbero avuto una lite al culmine della quale Bellia l’avrebbe gettata da un dirupo. Per la difesa, invece, dopo un giro fatto insieme, Bellia con la Vespa avrebbe riaccompagnato Simona al centro, lasciandola viva vicino a un bar. Poi non l’avrebbe più vista. L’inchiesta si era conclusa con un’archiviazione del fascicolo. E’ stato il legale della famiglia Floridia, l’avvocato Giuseppe Fiorito, nello svolgere attività di ‘indagini’, a scoprire la registrazione di una telefonata tra un amico dell’imputato che alla propria fidanzata rivela come Bellia, dopo un incidente, pensando di essere a rischio vita, gli aveva confessato di essere stato lui l’autore del delitto. La trascrizione della conversazione fa riaprire l’inchiesta e l’amico di Bellia, sentito durante un incidente probatorio per ‘cristallizzare’ le sue dichiarazioni, conferma quando aveva detto alla fidanzata al telefono. Ricostruzione che Bellia smentisce categoricamente, dichiarandosi innocente.
Ci sono almeno due precedenti di processi a Catania per omicidio di una donna senza il ‘corpo del reato’, ovvero che il cadavere della vittima sia stato trovato, come nel caso di Caltagirone.
Il 7 aprile del 2017 la Corte d’assise ha condannato a 25 anni di reclusione per omicidio e occultamento di cadavere l’82enne Salvatore Di Grazia, per avere ucciso e nascosto il corpo della moglie, mai trovato, Mariella Cimò, di 72 anni. L’uomo è libero e si proclama innocente. Un altro caso è quello di Rita Cigna, una sarta di 45 anni, scomparsa il 15 luglio del 1995, il giorno prima del fidanzamento ufficiale con Francesco Le Pira, più grande della donna di tre anni, che era sposato. L’uomo fu accusato del delitto e condannato in primo e secondo grado a 23 anni di reclusione, ma la Cassazione, il 26 aprile del 2007, annullò senza rinvio la sentenza, assolvendolo. Al centro del processo la scomparsa della donna, che da tempo aveva una relazione con Le Pira. Il rapporto era noto a amici e parenti della presunta vittima, ma non alla famiglia dell’uomo. Il 15 luglio del 1995, giorno della ‘presentazione in casa’, la coppia usci’ per comprare dei fiori da regalare ai genitori della donna. Da allora di Rita Cigna non si sono avute più notizie. Le Pira, che si è sempre proclamato innocente, ha sostenuto di averla lasciata vicino alla sua abitazione e di non averla più rivista, ma la Procura di Catania, invece, ipotizzò che l’uomo avrebbe deciso all’ultimo momento di salvare il proprio matrimonio sopprimendo l’amante e nascondendo poi il cadavere. Accuse dalle quali, condannato in primo e secondo grado, è stato prosciolto in maniere definitiva dalla Cassazione.
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