Ergastolo per Alfio Manforte. Anche per la corte d’Appello di Catania è lui il killer che ha ucciso Alfredo Maglia il 28 ottobre del 2013 ad Adrano.
Il presidente Elisabetta Messina ha letto il dispositivo con cui ha confermato in toto il verdetto di primo grado del 2021. Accolta, quindi, la richiesta della pubblica accusa Antonio Nicastro. Il difensore del boss del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello di Biancavilla, l’avvocato Francesco Antille, ha già annunciato ricorso per Cassazione dopo aver letto le motivazioni che saranno depositate tra 40 giorni.
L’agguato del 2013
Dietro l’agguato ci sarebbe stata una faida interna al clan di Biancavilla, da poco smantellato nel blitz Ultimo Atto dei carabinieri. Alfredo Maglia fu crivellato di colpi in via Dei Gerani ad Adrano. I killer agirono non appena entrò con la sua minicar in garage. Ci fu una telecamera – dell’impianto di videosorveglianza della vittima – che registrò le fasi dell’omicidio.
Quei video sono rimasti chiusi in un cassetto e mai divulgati alla stampa. Se non dopo l’arresto di Monforte. Dai video, studiati dalla polizia del Commissariato, si videro però i bagliori degli spari e poi due persone, una rimasta a distanza forse con il ruolo di palo e un’altra invece che uscì con la pistola in mano. Ma a un certo punto l’arma cadde. E il sicario la riprese.
I pentiti che accusano Monforte
Due pentiti contro Monforte. Graziano Balsamo, emiliano ma di origini siciliane, che avrebbe ricevuto durante un periodo di co-detenzione una sorta di confessione da parte dell’imputato. Il pentito spiegò al boss biancavillese di essere scampato a una condanna grazie a una perizia video. E fu a quel punto che Monforte gli avrebbe raccontato della ripresa della fuga dopo un omicidio in cui gli cadde la pistola. Un dettaglio che trovò un formidabile riscontro nel video in mano alla polizia.
Monforte avrebbe avuto la lingua lunga. Anche a Dario Caruana, ex colonnello di Cosa nostra catanese, avrebbe confidato particolari di quella sera di dieci anni fa. Le parole di Giuseppe Leotta e Giovanni La Rosa (che fu l’autista di Maglia) permisero infine di delineare il contesto in cui sarebbe maturato il delitto. La vittima avrebbe addirittura ordinato un rogo a casa di Monforte. E questa sarebbe stata la scintilla – oltre le tensioni già esistenti all’interno della clan – che avrebbe portato Monforte ad eliminare il boss che comunque lo metteva in ombra. Tutti aspetti evidenziati nel corso della requisitoria del pg.
L’alibi di Monforte
Nel dibattimento la difesa invece ha portato l’alibi che scagionerebbe Monforte. E cioè il titolare di un’area di servizio del Nord Italia che il giorno dell’omicidio avrebbe convalidato un buono per la benzina a un camionista di nome Alfio. Questo per la difesa porterebbe l’imputato in un altro luogo proprio nel momento in cui si commetteva il delitto. E poi ritiene che le prove portate nel dibattimento d’appello abbiano fatto emergere le contraddizioni dei pentiti. “Una sentenza infatti che ci sorprende visto che tutte le prove portate nella rinnovazione dell’istruttoria sono tutte a favore dell’imputato”, commenta Antille. Ma a quanto pare non è così per la Corte d’Assise d’Appello di Catania.
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