Se i venti di guerra si fanno sempre più insistenti, nonostante la richiesta di pace avanzata ieri dagli Stati Uniti, in Sicilia crescono i dubbi sull’effettivo ruolo che ha giocato l’Italia, e soprattutto la Sicilia, nell’uccisione del generale iraniano Soleimani a Baghdad. Sono echi di guerra preoccupanti che si sono tradotti due notti fa in un duplica attacco alle basi americane irachene dove erano presenti, tra l’altro, anche militari italiani, fortunatamente rimasti tutti illesi dalla pioggia di razzi.

È la Sicilia la regione italiana che più sarebbe esposta al pericolo trattandosi di un’area strategica nell’ottica di un potenziale conflitto tra Stati Uniti e Iran. In Sicilia sono presenti due aree che giocano un ruolo fondamentale: il Muos di Niscemi e la base aerea di Sigonella. In seguito all’attacco americano che ha visto l’eliminazione del generale iracheno sono stati in tanti a indicare Sigonella come base di partenza del drone che ha ucciso Soleimani. Una notizia smentita dai vertici militari statunitensi. “La Nas Sigonella non ha avuto alcun ruolo” nella vicenda, così come non l’avrebbe avuto il sistema di comunicazione militare di Niscemi Muos. Lo ha dichiarato il portavoce della US Navy della stazione aeronavale della marina Usa.

C’è chi però nutre parecchi dubbi sul ruolo della Sicilia nell’attacco americano a Baghdad. La Sicilia, infatti, secondo l’esperto di questioni militari e giornalista Antonio Mazzeo, avrebbe assunto un ruolo indiretto. “La base siciliana – ha dichiarato nel corso di un’intervista rilasciata a Repubblica – ospita da due anni il cosiddetto Uas Satcom Relay Pads and Facility, il sito per supportare le telecomunicazioni via satellite e le operazioni di tutti i droni dell’Aeronautica e della Marina militare statunitense, ovunque essi si trovano”. Un dispositivo, uno dei pochi presenti nel globo e il più vicino all’area sotto attacco, che sarebbe stato utilizzato per pilotare in remoto il drone killer.

Se le preoccupazioni potevano essere frutto solo di fantasie, adesso c’è la conferma che la Sicilia, un ruolo, seppur indiretto, potrebbe averlo avuto nell’attacco. Da qui parte la mobilitazione dei gruppi pacifisti dell’Isola che stanno iniziando la mobilitazione per chiedere lo stop alla guerra e alla smilitarizzazione della Sicilia. Il coro di protesta è già partito ma la macchina organizzativa delle mobilitazioni non sembra essere ancora compatto. A macchia di leopardo stanno nascendo sit-in e manifestazioni sparse nell’Isola.

Domani, 10 gennaio, a Catania alcune sigle di sinistra hanno in programma un presidio davanti la Prefettura. A Palermo, invece, il gruppo “Fajdda” manifesterà davanti al portone dell’agenzia consolare americana di via Marchese di Villabianca. Il 12 gennaio a Sigonella è prevista la mobilitazione più ampia organizzata da un folto gruppo di organizzazioni per chiedere la dismissione della base americana e lo stop all’uso delle armi per la risoluzione delle problematiche internazionali.

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