Era al 41 bis, con tanto di ergastolo, e nonostante tutto continuava a gestire le proprie aziende confiscate. E questo grazie all’aiuto dei più stretti familiari che ricevevano ordini dal carcere e li tramutavano in provvedimenti. Operazione antimafia nel Messinese culminata con 6 arresti. La Dia, direzione investigativa antimafia, ha eseguito un’ordinanza di misure cautelari emessa dal Gip del tribunale peloritano. La richiesta partita dalla Procura della Repubblica-Dda nei confronti di sei componenti di un nucleo familiare di un esponente del clan mafioso dei “barcellonesi”.

Le accuse

Le accuse sono di intestazione fittizia aggravata dal metodo mafioso. Secondo quanto accertato, il detenuto interveniva nella gestione delle sue aziende confiscate. Dettava puntuali indicazioni ai propri familiari in merito al personale da assumere ed ai ruoli da svolgere. Ma sceglieva anche i fornitori, gestiva i rapporti con la clientela e curava anche i locali adibiti a sala ricevimento, giungendo persino ad interloquire sui compensi dei dipendenti. Con il provvedimento in esecuzione sono state disposte diverse misure della custodia cautelare. Anzitutto per l’uomo già in carcere, e poi sono finiti nella rete la moglie ed il figlio. Figurano poi tre obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria per la figlia, la nuora ed il padre di quest’ultima.

Cosa è emerso

Le indagini della Dia hanno fatto emergere come l’uomo riuscisse a dettare legge nonostante l’ergastolo e la detenzione al 41 bis. Dal carcere continuava a gestire diverse realtà aziendali che erano state confiscate. Le attività investigative sono state anche di natura tecnica, riscontrate dall’attività di analisi della documentazione amministrativa e dei flussi finanziari delle imprese. L’uomo dal carcere dettava puntuali indicazioni ai propri familiari in merito al personale da assumere ed ai ruoli da svolgere. Sceglieva anche i fornitori, i rapporti con la clientela e tutto quanto il resto, persino la contrattazione degli stipendi. “Tale comportamento, proseguito per diverso tempo – sostengono gli inquirenti -, è culminato in una strategia finalizzata alla locazione delle imprese confiscate ad un prestanome. Quest’ultimo, attraverso la costituzione ad hoc di una società ‘’pulita’, avrebbe consentito ai familiari del detenuto di rientrare tramite lui nel pieno possesso delle imprese”.

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