Sensori e sismometri in fondo al mare nello stretto di Messina e nel Mar Ionio per individuare faglie sconosciute che potrebbero causare terremoti e tsunami. E’ l’obiettivo del progetto seismofaults che nasce dalla collaborazione tra Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e l’università Sapienza di Roma.

Nel mese di maggio scorso, il gruppo con l’assistenza della nave Minerva Uno e del suo equipaggio gestito dalla Sopromar, ha installato sui fondali del Mar Ionio, otto sismometri e due moduli con sensori per l’analisi delle emissioni dei gas. Gli strumenti, spiega l’Ingv in una nota, sono stati sistemati fino alla profondità di circa 2600 metri e sono molto vicini ai potenziali epicentri dei terremoti.

L’obiettivo è registrare i movimenti del suolo in caso di eventi sismici e le emissioni gassose del fondale ionico per circa 12 mesi. Al termine di tale periodo, gli strumenti verranno sganciati dalla zavorra che li tiene ancorati in fondo al mare e saliranno in superficie, dove saranno recuperati. Con i nuovi dati raccolti, sarà possibile individuare e definire le faglie potenzialmente all’origine di terremoti e tsunami e raccogliere anche informazioni per lo studio di possibili fenomeni precursori dei terremoti, come ad esempio anomalie nelle modalità del degassamento dai fondali marini, al fine di esplorare la prevedibilità dei terremoti.

I due moduli per le analisi geochimiche sono stati installati proprio per quest’ultima finalità. La regione dello Stretto di Messina e il vicino Mar Ionio, osserva l’Ingv, sono state le aree all’origine di importanti terremoti e maremoti nel corso degli ultimi secoli che hanno provocato morte e distruzione. Fra questi vi sono eventi sismici, come quelli del 1908 a Messina e Reggio Calabria, nel 1905 e 1783 nella Calabria meridionale, tuttavia le faglie da cui hanno avuto origine questi terremoti sono ancora totalmente o parzialmente sconosciute.