Cervi con il Covid-19 in Canada. E non sono pochi. Lo scrive LaPresse.ca.

“Mi sarei aspettato un tasso di infezione molto più basso”, ha affermato Steeve Côté, esperto di cervi dalla coda bianca presso la Laval University del Canada. “I cervi non vivono molto in gruppo, non hanno molti contatti con gli umani. Immagino ci sia una fonte di contagio da qualche parte, forse le acque reflue”, ha aggiunto. L’esperto ritiene che una presenza così elevata di anticorpi al SARS-CoV-2 sia “preoccupante” ma sottolinea che non ci sono “al momento prove di contagio dagli animali all’uomo”.

Hélène Carabin, veterinaria dell’Università di Montreal, a proposito dello studio condotto su popolazioni di cervi in ​​Illinois, Pennsylvania, Michigan e Stato di New York, ha affermato: “È davvero importante trattare le malattie infettive in modo olistico, senza distinguere tra salute animale e salute umana, perché possono passare dall’una all’altra”. Secondo la dottoressa Carabin, i cacciatori dovrebbero indossare guanti e una mascherina quando maneggiano cervi appena uccisi, “soprattutto se non sono vaccinati”. “Detto questo, al momento, non ci sono prove di trasmissione da animale a uomo. E nel parco di Longueuil, alle prese con una sovrappopolazione di cervi, bisogna davvero avvicinarsi molto perché ci sia un rischio ma raccomjando alle persone non vaccinate di indossare una mascherina se incontrano spesso dei cervi”.

La presenza di SARS-CoV-2 nei cervi non è un problema solo perché può infettare i cacciatori. Possono anche essere un ‘serbatoio’ per il coronavirus, che potrebbe rimanere in circolazione anche se debellato nell’uomo, facendo insorgere mutazioni. Gli esperti sottolineano che gli esseri umani rappresentano per il momento una fonte più importante di scambio del coronavirus e, quindi, più responsabili delle mutazioni: “Con la malattia di Lyme, ad esempio, il cervo è un ospite secondario ma il serbatoio principale è il topo”, ha ricordato la dott.ssa Carabin.

Infine, nel settembre 2020, uno studio danese pubblicato sulla rivista Nature ha concluso che le mutazioni di SARS-CoV-2 osservate nel visone non erano problematiche per l’uomo. Però, all’inizio della pandemia, milioni di visoni sono stati spazzati via quando sono comparsi focolai negli allevamenti in Europa.

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