Sin dagli inizi dell’epidemia di Covid-19, è stato subito evidente che la malattia colpisca più gli uomini che le donne. Sono in corso ricerche per capire il perché e tra le ipotesi ci sono lo stile di vita, lo stato della saute e l’immunità.
Sul versante dell’immunità, un nuovo studio, pubblicato su Nature, ha confrontsto la carica virale, gli anticorpi specifici, le citochine e le cellule immunitarie. Nonostante sia stato coinvolto un piccolo campione (17 uomini e 22 donne), ecco cosa è emerso.
Citochine pro-infiammatorie
Innanzitutto, il gruppo dei pazienti coinvolti aveva una forma moderata della malattia e non riceveva farmaci immunomodulatori. Il gruppo di controllo, invece, è stato composto da operatori sanitari non infetti dell’ospedale di Yale-New Haven. Gli scienziati hanno prima confrontato la carica virale determinata mediante RT-PCR a seguito di un tampone nasofaringeo. E non è emersa alcuna differenza significativa tra gli uomini e le donne. Questo ha riguardato anche il caso degli anticorpi IgG e IgM anti-SARS-CoV-2.
Le differenze tra uomini e donne appaiono in relazione all’immunità cellulare. I ricercatori hanno analizzato 71 diverse citochine nel plasma dei pazienti. Ora, il livello di citochine basali è stato più alto rispetto al gruppo di controllo. Poi, per la maggior parte delle citochine non c’è differenza tra maschi e femmine ma con alcune eccezioni.
Sembra che gli uomini producano significativamente più interleuchina 18 (IL-18) e interleuchina 8 (IL-8) rispetto alle donne. L’IL-18 è una citochina pro-infiammatoria che contribuisce all’attivazione dei linfociti T CD4+. Da parte sua, l’interleuchina 8 viene secreta dalle cellule epiteliali quando viene rilevato un microrganismo patogeno. Queste due citochine sono presenti all’inizio dell’infezione. Ma ce n’è un’altra che è più presente negli uomini rispetto alle donne ma che compare con il progredire della malattia: CCL5 è una chemochina, secreta dalle cellule epiteliali, il cui ruolo è quello di attirare le cellule dell’immunità nel sito dell’infiammazione.
Linfociti più attivati nelle donne
Sul versante delle cellule immunitarie, sono emerse differenze. I monociti sono cellule del sangue che si possono differenziare in macrofagi o in cellule dendritiche. Gli uomini hanno un livello più elevato di un tipo non convenzionale di monociti, i monociti CD14lo/CD16+ rispetto alle donne. Si ritiene che siano anchecoinvolti nella risposta immunitaria antivirale. Le donne, da parte loro, esprimono i monociti CD14+/CD16+, ritenuti più ‘classici’. Questa sottopopolazione promuove la comparsa dell’antigene ed è considerata pro-infiammatoria.
Un’altra popolazione cellulare è essenziale per la risposta immunitaria: i linfociti T. Le donne hanno livelli molto più alti di linfociti T CD38+, HLA-DR+ e linfociti T CD8 attivi. Il cluster di differenziazione CD38 è espresso sulla superficie delle cellule quando la cellula ha praticamente completato la sua differenziazione in una cellula attiva. Le popolazioni di linfociti T sembrano, quindi, essere più attive nelle donne che negli uomini.
Nello studio è emerso che gli uomini, le cui condizioni sono peggiorate, avevano una popolazione di cellule T attive particolarmente bassa e pare che per le donne il fenomeno sia differenze. Quelle con un peggioramento dei sintomi hanno livelli significativamente più alti di citochine dell’immunità innata (CCL5, IL-15) rispetto agli uomini mentre le cellule T8 sono stabili.
Gli autori suggeriscono che la gestione differenziata per genere può interessare la gestione e le strategie terapeutiche nel caso del Covid-19. Una terapia che diminuisce l’immunità innata nelle donne sembra più rilevante mentre gli uomini trarrebbero beneficio da più di una soluzione per aumentare l’attivazione dei linfociti T. E ora si attendono altri studi.
Commenta con Facebook