La Siria, un Paese già martoriato da oltre un decennio di guerra civile, è ripiombata nel caos. Nelle province costiere di Latakia e Tartous, roccaforti storiche della minoranza alawita, gli scontri tra le forze di sicurezza del nuovo governo e i gruppi lealisti fedeli all’ex presidente Bashar al-Assad hanno raggiunto un’intensità mai vista dalla caduta del regime, lo scorso dicembre.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), il bilancio delle vittime ha toccato la cifra sconcertante di 1.018 morti in pochi giorni, di cui 745 civili alawiti giustiziati in esecuzioni sommarie, 125 membri delle forze di sicurezza e 148 combattenti lealisti. Una strage che riporta alla memoria gli anni più bui del conflitto siriano e che mette a nudo le fragilità di una transizione politica ancora incerta.

Le violenze, iniziate giovedì scorso, si sono concentrate nella regione di Latakia, dove le forze governative hanno lanciato operazioni militari su larga scala per stroncare la resistenza dei sostenitori di Assad. Ma non è solo l’ovest del Paese a bruciare: a est, nella provincia di Deir-ez-Zor, cellule dello Stato Islamico hanno approfittato del caos per colpire sia civili che le Forze democratiche siriane (Sdf), alimentando ulteriormente l’instabilità. In questo drammatico scenario, il presidente ad interim Ahmed al Sharaa ha rotto il silenzio con un appello accorato alla pace, cercando di rassicurare una nazione sull’orlo del baratro.

Latakia sotto assedio

Il cuore della crisi si trova a Latakia, una città simbolo per gli alawiti, la minoranza religiosa che per decenni ha sostenuto il regime di Assad. Qui, le forze di sicurezza, che includono milizie legate a Hayat Tahrir al-Sham (Hts)—il gruppo islamista che ha preso il potere dopo la caduta di Damasco—hanno condotto rastrellamenti casa per casa, accompagnati da bombardamenti di artiglieria.

L’Osservatorio siriano ha denunciato che 745 civili alawiti, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi in esecuzioni sommarie nelle città di Baniyas, Jableh e nelle campagne circostanti. “134 civili alawiti, tra cui 13 donne e cinque bambini, sono stati giustiziati dalle forze di sicurezza”, ha dichiarato all’AFP Rami Abdel Rahmane, direttore del Sohr, sottolineando come tra gli autori delle stragi ci siano anche “jihadisti sunniti stranieri”.

Le immagini che circolano sui social media—difficili da verificare ma strazianti—mostrano corpi ammassati nelle strade e villaggi in fiamme. Testimonianze locali parlano di una rappresaglia brutale, scatenata dopo che gruppi lealisti hanno attaccato posti di blocco e ucciso decine di agenti del nuovo governo. Il ministero dell’Interno siriano ha riconosciuto “violazioni individuali” sulla costa di Latakia, promettendo di porvi fine, ma la situazione sembra sfuggita di mano. Il coprifuoco è stato esteso a Tartous e Latakia, mentre migliaia di civili, terrorizzati, si sono radunati davanti alla base aerea russa di Hmeimim, implorando protezione a Mosca.

L’appello di Al Sharaa

In questo clima di terrore, il presidente ad interim Ahmed al Sharaa è intervenuto con un discorso pronunciato all’alba dalla moschea al-Akram, nel quartiere di Mezzeh a Damasco. “Dobbiamo preservare l’unità nazionale e la pace civile il più possibile e, se Dio vuole, saremo in grado di vivere insieme in questo Paese”, ha dichiarato, cercando di trasmettere speranza a una popolazione stremata.

Al Sharaa, ex leader di Hts noto in passato come Abu Mohammed al-Golani, ha definito gli scontri “una grave sfida per la Siria”, ma ha insistito che “il peggio è ormai passato”. Il suo messaggio, tuttavia, arriva in un momento di profonda sfiducia: molti siriani, soprattutto nelle comunità alawite, lo accusano di aver permesso una repressione settaria contro chi è percepito come legato al vecchio regime.

Al Sharaa ha promesso che i “residui” di Assad saranno catturati e processati, un’affermazione che suona come una minaccia per i lealisti ma anche come un tentativo di legittimare le operazioni militari. La sua leadership, nata dalla coalizione islamista che ha deposto Assad, è ora messa alla prova: riuscirà a unire un Paese frammentato o sarà ricordato come il responsabile di una nuova ondata di sangue?

Lo stato islamico rialza la testa

Mentre l’attenzione internazionale si concentra su Latakia, un altro fronte si è aperto a est. Nella provincia di Deir-ez-Zor, lo Stato Islamico ha sfruttato il vuoto di potere per lanciare attacchi mirati. Nel villaggio di Abriha, jihadisti hanno colpito con un lanciarazzi RPG la casa di un uomo che si era rifiutato di pagare la “zakat”, distruggendo l’edificio. In un’operazione separata, una postazione delle Sdf tra Dhiban e al Tayana è stata attaccata con un razzo, senza che siano state riportate vittime immediate. Secondo il Sohr, dall’inizio del 2025 l’Isis ha condotto 35 attacchi nelle aree controllate dall’Amministrazione Autonoma della Siria Settentrionale e Orientale, con un bilancio di 12 morti, tra cui otto membri delle Sdf.