Stando alle ultime stime in Italia circa 6 milioni di persone non hanno ricevuto neanche una dose di vaccino anti Covid-19. I motivi di questa scelta sono vari, tra cui la diffidenza verso la tecnologia mRNA usata da Pfizer e Moderna per sviluppare i loro sieri. Il motivo? C’è chi crede – erroneamente – che questi vaccini abbiano la capacità di alterare il codice genetico.

Presto, però, come spiegato su Futura-Sciences.com, ci sarà la somministrazione anche di Nuvaxovid, il farmaco di Novavax, di recente autorizzato sia dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) che dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che si basa su un metodo molto più tradizionale. Questo vaccino, infatti, contiene proteine che imitano l’ormai famosa proteina Spike per innescare la produzione di anticorpi da parte dell’organismo. Si tratta di una tecnologia già usata dai vaccini contrro la pertosse e l’epatite B. Quindi, perché mettere in discussione anche Nuvaxovid se è simile a quelli già somministrati da tempo?

Capitolo varianti. Durante gli studi clinici inerenti al vaccino di Novavax, le varianti diffuse erano Alfa e Beta. Quindi, non ci sono dati che afferiscono a Delta e Omicron. Però, se questo vaccino consente di ottenere una protezione vaccinale vicina al 100%, può essere di grande aiuto anche nella lotta a Omicron e, più in generale, all’insorgenza di nuove varianti. Infatti, anche se i vaccini attualmente disponibili non sono efficaci al 100% contro Omicron, consentono di limitare il numero dei casi gravi e, quindi, le ospedalizzazioni e i decessi.

Nuvaxovid, poi, segue lo schema tradizionale della vaccinazione: due somministrazioni a distanza di tre settimane. Infine, c’è un altro vantaggio: il farmaco può essere conservato in frigorifero, permettendo così una migliore distribuzione anche nei Paesi del Sud del mondo, ad esempio (e soprattutto) in Africa.

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