Un uomo coraggioso, con un grande senso del dovere, ma soprattutto con un intuito imbattibile. Già alla fine degli anni Settanta, quando le conoscenze sul fenomeno mafioso erano ancora lacunose, Rocco Chinnici aveva intuito le connessioni tra Cosa nostra e la politica, l’alta finanza, il tessuto produttivo ed imprenditoriale.
Rocco Chinnici, commemorato stamane a Palermo nel luogo in cui venne ucciso, era un magistrato, un servitore dello Stato. Fu sua l’idea di istituire il pool antimafia che diede un contributo decisivo alla lotta contro Cosa nostra.
Alle 8.05 del 29 luglio del 1983 uscì dal palazzo in cui abitava in via Pipitone Federico. Stava andando al lavoro. Una Fiat 127, imbottita di esplosivo, parcheggiata davanti il portone dello stabile, venne fatta esplodere dal killer mafioso Antonino Madonia, uccidendo Rocco Chinnici, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere del palazzo Stefano Li Sacchi.
Un’esecuzione eclatante, chiaro emblema della disumana ferocia di Cosa nostra che inaugurava così la stagione delle autobomba.
Rocco Chinnici era nato a Misilmeri il 19 gennaio 1925 e, dopo la maturità classica ottenuta nel 1943 a Palermo, si era iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, laureandosi il 10 luglio 1947.
Nel 1952 era entrato in magistratura, al Tribunale di Trapani. Dopo era stato trasferito a Partanna, dove era rimasto pretore per 12 anni e nel maggio 1966 era tornato a Palermo, presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale, come giudice istruttore.
Nel novembre 1979 era stato promosso Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo.
Rocco Chinnici ha consentito la realizzazione del primo maxiprocesso alla mafia. Aveva voluto a fianco a sé Falcone e Borsellino.
Chinnici pertecipò anche a molti congressi e convegni, incontrando migliaia di studenti, perché credeva che i giovani fossero davvero importanti nella lotta alla mafia.
Fu il primo magistrato a parlare ai ragazzi della mafia e di come quest’ultima si arricchiva con il traffico di droga rovinando tante giovani vite.
Nella sua relazione sulla mafia tenuta nell’incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio del 1978 si espresse così: “Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia”.
In una delle sue ultime interviste, Chinnici aveva detto: “La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare”.
Il processo per l’omicidio ha individuato come mandanti i fratelli Nino e Ignazio Salvo, e si è concluso con 12 condanne all’ergastolo e quattro condanne a 18 anni di reclusione per alcuni fra i più importanti affiliati di Cosa Nostra.
Nel 1985 è stato istituito il “Premio Chinnici” per le attività di studio e ricerca contro il fenomeno mafioso e di educazione alla legalità.
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