“Quel 19 luglio 1992 in via D’Amelio è ancora all’attenzione dei magistrati. Come pure il traccheggio della borsa del procuratore Paolo Borsellino. Ognuno lo ricorda secondo i filtri della propria memoria. Però, grazie ad alcuni documenti fotografici, possediamo la prova logica di una parte della sorti della borsa. Ce la raccontano le foto scattate da Luigi Sarullo, ce le racconta la borsa”. Così inizia l’articolo apparso oggi sul Fatto Quotidiano firmato da Aldo Sarullo, amico e opinionista di Blogsicilia.

La borsa

“Da essa sappiamo che non era con il Procuratore al momento dell’esplosione. Infatti Borsellino non fu smembrato, la borsa, invece, ebbe conseguenze molto minori perché era all’interno dell’auto, poggiata su un sedile. Le foto testimoniano che rimase bruciacchiata nella parte anteriore e intatta, proprio intatta, nel retro e all’interno – si legge nel pezzo –
Da ciò si deduce che il suo contenuto rimase integro e si era anche l’agenda rossa, questa non subì danni. I magistrati di Caltanissetta conoscono bene la borsa. Per analizzarla se la fecero consegnare, molto anni dopo, dal braccio destro di Borsellino, cioè all’allora maresciallo Carmelo Canale, oggi colonnello, che la custodisce in una teca, dopo averla ricevuta in dono dalla famiglia del magistrato”

Cosa c’era all’interno

Ai Borsellino la valigetta venne consegnata da Arnaldo La Barbera, l’allora capo della Mobile di Palermo, alcuni mesi dopo la strage. “All’interno della borsa – secondo il verbale di apertura della Procura di Caltanissetta, datato 5 novembre 1992 – c’erano due pacchetti di sigarette, un costume, un paio di pantaloncini da tennis, un crest dei carabinieri. Alla famiglia vennero consegnati anche un paio di occhiali, un mazzo di chiavi e un’agenda telefonica marrone. Nella borsa, però, non c’era quella rossa, come fece notare Lucia Borsellino a La Barbera.

“Quando chiesi che fine avesse fatto, mi fu risposto appunto che non c’era e al mio insistere il questore La Barbera disse a mia madre che io probabilmente avevo bisogno di un sopporto psicologico perché ero molto provata. Mi fu detto addirittura che deliravo”, ha raccontato la figlia del giudice al processo”.

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