Uomini e donne ri-tratti in un amorevole inganno, colti dall’artista nell’attimo di maggior fragilità della posa. Forse una distrazione, un pensiero di passaggio, i soggetti non perdono l’eleganza di chi concede la propria figura con pudore.
Quattordici in tutto le foto che compongono “Sanctificetur II”, la mostra di Benedetto Galifi che si inaugura alle 19 di domenica 9 ottobre a Fabbrica 102, in via Monteleone 32, dietro le Poste centrali di Palermo.
«Tra la prima serie di ritratti, mostrati al pubblico a “Fabbrica 102” nella Settimana Santa 2015, sotto la cura di Valeria Sara Lo Bue, direttore artistico dello spazio espositivo, e gli ultimi scatti da me rielaborati è intercorso più di un anno – spiega lo stesso Galifi -. Un anno di cambiamenti, che hanno per certo avuto peso e influenza sul mio nuovo lavoro. Di fatto, però, i ritratti si propongono di proseguire e ampliare il progetto iniziato quasi tre anni fa, mostrando le differenze evidenti con le prime immagini: la luce si fa più cupa, la “scena” più dinamica, la sperimentazione si spinge oltre ricorrendo a collage digitali e sovrapposizioni di immagini, la post-produzione è più consapevole e curata».
I “Santi” di Benni Galifi scelgono di mostrarsi per intero, di svelare il loro volto, di guardare in faccia la Verità, di ammirarsi allo specchio e riflettersi in un mondo a tratti oscuro e tetro, a tratti sereno, riappacificato, meditativo; e sempre per tale ragione molti di loro, adesso, indossano i propri abiti e rinunciano a quell’innocenza di cui si erano coperti (o scoperti) i “colleghi” precedenti, alla stregua di un Adamo e di una Eva che, colti in flagrante con la mela in mano dall’occhio di Dio, si accorgono di esser nudi e se ne vergognano.
«Questa parte del progetto – prosegue l’autore degli scatti – è probabilmente più “filologica”: per alcuni di questi ritratti mi sono liberamente ispirato alle pagine di Giuseppe Pitrè (San Filippo, San Cosimo e Damiano) o a quelle di Jodorowky (L’Immacolata Concezione), alle mie stesse pagine (San Pietro), a fatti di cronaca palermitana (la presunta apparizione di Santa Rita sul campanile della chiesa della Mercede al Capo), oppure all’osservazione delle sante ex-patrone di Palermo che svettano sui piloni dei Quattro Canti (Agata – fotografata due anni fa in quanto patrona di Catania – Cristina, Ninfa e Oliva, avvolte dalle ragnatele, per metterne in risalto, non senza ironia, l’oblio alle quali sono state costrette dopo l’avvento di Santa Rosalia nel 1600, eletta unica Patrona della città). Eppure, paradossalmente, questi ultimi ritratti, se da un lato possono risultare più plastici e meno naturali, mi auguro lascino trapelare una “umanità” ancora più evidente, riuscendo a racchiudere in sé la luce e l’ombra che dentro ciascun uomo – santo e dannato al contempo, a seconda del cammino che decida di intraprendere – si alternano lungo l’arco di una vita».
Immagini, dunque, che mostrano una composizione che è portatrice di senso, mai casuale, una costruzione che segue principi etici ed estetici precisi, votati alla ricerca di una ieraticità contemporanea, che perde di severità rispetto all’iconografia tradizionale e ingentilisce lo stile.
«I protagonisti di questa interessante mostra – scrive nella presentazione Valeria Sara Lo Bue – sono vittime dei moniti che essi stessi rappresentano, uomini che pagano a caro prezzo la propria “grazia”. Sono Santi-Titani puniti per la propria tensione verso l’alto. La loro tracotanza è, al contempo, sconfitta e vittoria. Sono tuttavia religiosi, “re-legati” nel proprio olimpo ma votati al recupero di una “religione” intesa come insieme non tanto di valori, quanto di pene condivise da una moltitudine. Il medium è di necessità la fotografia digitale, perché democratica».
La mostra si potrà visitare sino al 22 ottobre, negli orari di apertura del bistrot.
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