Spacciare soltanto 5 giorni al mese nel quartiere di Brancaccio a Palermo era un “delitto”. Era successo per un certo periodo perché un carico di stupefacente andò in fumo quando uno dei sodali dell’organizzazione fu arrestato. E con lui fu sequestrato anche il quantitativo che sarebbe dovuto andare a finire nelle piazze di spaccio. La circostante curiosa emerge dalle intercettazioni dell’operazione antidroga “Gold Green” che ha portato  lo scorso 16 novembre all’arresto di 15 persone, di cui 13 Palermitani, per un traffico intessuto con Calabria e Campania.

L’arresto che mette in crisi

Prima del blitz di tre giorni fa venne arrestato Federico La Rosa, uno dei componenti dell’organizzazione. Fu un dramma per il sodalizio, non tanto per l’arresto in sé quanto per il problema del quantitativo di droga che venne scoperto e sequestrato. In pratica finì un carico importante e non c’era più stupefacente da immettere nelle piazze di Brancaccio. Situazione che emerge dalla conversazione tra due indagati, Maurizio Di Fede e Giuseppe Marsalone (classe ’76): “La testa di minchia ci ha consumati che si è fatto arrestare… è probabile che gliel’hanno dato quelli… Lo dobbiamo trovare là… se li troviamo”.

Approvvigionamento e distribuzione della droga

Gli indagati non si occupavano solo del reperimento di sostanze stupefacente, ma provvedevano anche al controllo delle piazze di spaccio operanti nei quartieri di Brancaccio e Roccella. In proposito veniva intercettata una conversazione nel corso della quale Onofrio Claudio Palma e Di Fede commentavano le difficoltà riscontrate da tale “Giacomino” nella conduzione della piazza di spaccio. Quest’ultimo, in particolare, sarebbe riuscito a spacciare solo cinque giorni al mese, data la cronica mancanza di stupefacente. “Cinque giorni, cinque giorni capito? Così dice, per lavorare tutti… fumo dice sono andato la da quelli di là da me e mi hanno portato una panetta ottocento euro…”.

Il carico dai calabresi

Nell’occasione Di Fede chiedeva al suo interlocutore, per l’appunto Palma, se avesse notizie dei calabresi con cui Marco Palma si stava sentendo tramite l’utilizzo di un telefono criptato. “Ci dovremmo andare – dice Di Fede -, lunedì lo prendiamo per impegno e ci andiamo…”.

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