Si è concluso con importanti risultati il progetto dell’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo per sconfiggere l’epatite C. Iniziativa che aveva preso le mosse da quanto aveva enunciato l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità: nel mondo circa 71 milioni di soggetti sono portatori cronici del virus dell’epatite C (Hcv). L’Oms stima che nel 2016 siano morte 399 mila persone per malattie epatiche correlate a questo virus. L’unità operativa complessa di medicina dell’ospedale, diretta da Fabio Cartabellotta, da anni riferimento per il trattamento delle patologie epatiche e centro capofila della Rete Hcv Sicilia, ha da poco concluso il progetto “Hcv Patient Journey” attivato nel 2019 nella struttura sanitaria. L’obiettivo è quello di contribuire a sconfiggere l’epatite C.

I danni della malattia

Si tratta di una patologia causata dal virus Hcv che attacca il fegato, causando un’infiammazione dello stesso organo. Incide sulla qualità di vita dell’individuo e rappresenta un importante problema di salute pubblica, che richiede una risposta urgente e colloca gli ospedali in prima linea per combattere la malattia. In Sicilia, nel 2015 è stato istituito il registro Hcv, che contiene i dati dei pazienti fino ad oggi. In questo arco di tempo, è stata realizzata una piattaforma web in cui sono stati registrati 22.300 pazienti che rappresentano lo 0,35% della popolazione generale dell’Isola. Il 57% sono maschi con un’età media di 61 anni, il 34% di età superiore ai 70 anni. Negli ultimi anni, nel 97-98% dei casi gli antivirali ad azione diretta, hanno permesso di curare le infezioni da virus C.

L’obiettivo primario

Il progetto “Hcv Patient Journey” ha perseguito lo scopo di contribuire a raggiungere uno degli obiettivi primari fissati dall’Oms, ovvero l’eradicazione dell’epatite C entro il 2030. Ha favorito lo screening, la presa in carico dei pazienti e contemporaneamente l’informazione dei cittadini e del personale sanitario. Allo screening è stata sottoposta la popolazione generale e non solamente quella a rischio, con una prevalenza superiore di contrarre il virus, afferente all’ospedale “Buccheri La Ferla”. Ha una notevole rilevanza scientifica, partendo dalla conoscenza e dall’informazione; strumenti che costituiscono la base per poter fare compiere ai pazienti scelte consapevoli.

La prevenzione

E’ fondamentale che tutti abbiano le capacità per prevenire e limitare l’infezione da Hcv. Il progetto si è articolato in più fasi: una preliminare di tipo educazionale, informativa con la relativa divulgazione di materiale informativo, l’altra di screening attraverso la ricerca dell’anticorpo anti Hcv (Hcv Ab) con chemiluminescenza (i pazienti positivi sono stati avviati al trattamento e indirizzati a consulenza epatologica presso l’ ambulatorio dedicato attivo in ospedale). I risultati ottenuti sono di grande rilevanza scientifica. Nella popolazione generale, dei 16.000 pazienti sottoposti a screening ab-Hcv, è stata evidenziata una prevalenza del virus di quasi il 5% nei pazienti ricoverati e del 2% nei pazienti ambulatoriali. E’ stata individuata una percentuale di viremici (positivi ad Hcv Rna) di quasi l’1%. L’incidenza della malattia nei ricoverati è superiore per la presenza di coopatologie e per l’età media dei soggetti screenati.

Lo screening

“Alla luce dell’osservazione epidemiologica della rete Hcv, dal primo di novembre del 2019 – ha dichiarato il dottor Fabio Cartabellotta – abbiamo avviato uno screening generale che ha coinvolto tutti i pazienti ricoverati in ospedale: Medicina Interna, Oncologia, Neurologia, Chirurgia, Ortopedia, Cardiologia, Utic, Ginecologia e  Ostetricia. Il 98% dei pazienti perviene attraverso l’area di emergenza. Sono stati sottoposti al test anche i pazienti ambulatoriali che eseguivano un prelievo di sangue. In questi ultimi per la giovane età della popolazione coinvolta, la percentuale di positivi è nettamente inferiore. L’obiettivo del nostro progetto è stato  quello di far emergere ‘il sommerso’,  pazienti infetti ma non noti. Abbiamo portato alla cura circa 100 pazienti che nel tempo ignari della malattia avrebbero corso il rischio di andare incontro alla cirrosi”.

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