Ha approfittato di una giovane donna mai vista, arrivata su appuntamento in un ospedale di Palermo per farsi una ecografia, per sottoporla a pratiche “invasive” che il medico imputato in questa vicenda – Antonino T., di 63 anni – aveva motivato come necessarie, prospettando nell’ordine: la necessità di asportarle l’appendice e un’ovaio, una cirrosi epatica, un versamento nel Douglas, un tumore e altro ancora.

Tutte patologie inesistenti. Per questo la Cassazione – con la sentenza 10171 – ha confermato la condanna a cinque anni di reclusione per il camice bianco, accusato di violenza sessuale per aver costretto la donna a subire atti sessuali abusando dell’autorità derivante dall’esercizio delle sue funzioni, e approfittando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della giovane che temeva per la sua salute dato i mali imminenti che il clinico le annunciava. Senza successo, il dottore si è difeso sostenendo che la donna aveva interpretato la visita medica “in modo erroneo”, con una “percezione distorta”, e che una cosa era la visita “ufficiale” mentre il resto “era a parte”.

Per gli ‘ermellini’, invece, merita piena conferma il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Palermo nell’aprile 2017 che aveva accertato che l’imputato “aveva costretto la donna a subire pratiche invasive prive di ogni giustificazione diagnostica o necessità terapeutica, poste in essere, senza consenso o preavviso, in modo subdolo e repentino”.

Tutte pratiche delle quali, peraltro, osserva ancora la Cassazione, “nessun cenno era stato inserito nel referto medico” consegnato alla giovane .

Anche in primo grado Antonino T. era stato condannato a cinque anni di carcere. Per ‘punire’ l’inammissibilità dei motivi di ricorso presentati dalla difesa del medico, la Suprema Corte lo ha inoltre condannato a versare duemila euro alla Cassa delle Ammende e a liquidare 3500 euro per le spese legali della vittima costituitasi parte offesa.