Troppe le aziende che a causa dell’emergenza da covid19 hanno chiuso i battenti. Si tratta del 2% del totale delle aziende siciliane, 1.134 su un totale di 57.230 aziende. E non solo: anche se si guarda ai dati raccolti dall’Istat dal punto di vista del fatturato, la situazione rimane comunque di estrema difficoltà per il mondo economico siciliano. Sull’Isola, per 1.134 imprese, nel periodo che va da giugno ad ottobre 2021, non è stato conseguito alcun fatturato (2% delle imprese, contro la media italiana all’1,6); per altre 15.112 si è ridotto del 10% (26,4% contro il 24,7% della media italiana).

Il fatturato lo specchio di tutto

Ancora, per altre 4.467 il fatturato è stato contenuto al di sotto del 10% (7,8%, in linea con la media nazionale), mentre per 21.286 è rimasto stabile (37,2 contro il 33,7%). Non a tutte le aziende è andata male, ma sempre meno rispetto a ciò che è successo nell’intera penisola: per 4.154 è aumentato del 10% (7,3% contro il 9,6% della media italiana), per 6.340 è aumentato tra il 10 e il 25% (11,1% contro 12,9 media italiana) e oltre il 25% per 4.737 (8,3% contro 9,6% media italiana). Queste percentuali si riflettono sui numeri assoluti delle imprese sul territorio siciliano, che abbiano da 3 addetti a salire, a novembre 2021: 52.198 imprese sono totalmente aperte, 3.115 hanno continuato a lavorare ma solo parzialmente, 782 aziende hanno chiuso ma prevedono di riaprire, mentre 1.134 sono chiuse definitivamente. Si parla del 2% di chiusure, mentre la media italiana si assesta all’1,2%.

Peggio solo la Campania

La Sicilia ha una delle quote più alte di chiusure in Italia, peggio fa solo la Campania con il 2,8%, e si assestano sulla stessa quota Puglia e Molise (2%). A livello nazionale, infatti, nella valutazione dell’andamento del fatturato registrato tra giugno e ottobre 2021 rispetto agli stessi mesi del 2020, le imprese si dividono in tre gruppi quasi equivalenti per numerosità: il 34,2% dichiara una riduzione delle vendite, il 33,7% un andamento stabile e il 32,1% un aumento. Quest’ultimo gruppo rappresenta però in termini occupazionali il segmento più ampio (45,1% rispetto al 26,6% di imprese in perdita e al 28,4% con fatturato stabile) e contribuisce a produrre la metà del valore aggiunto nazionale (49,8% contro il 22,8% delle imprese con fatturato in contrazione e il 27,4% di quelle con risultati stabili).

Bene solo industria e costruzione

L’industria in senso stretto e le costruzioni presentano una ripresa più diffusa, anche grazie ai diversi bonus messi a disposizione dallo Stato, per cui è stata data grande spinta all’intero comparto: le imprese con un fatturato in aumento sono rispettivamente il 41,2% e il 37,3% mentre scendono al 30,1% nel commercio e al 28,1% negli altri servizi. Nei servizi una maggiore incidenza di imprese con fatturato in calo si rileva nei settori delle trasmissioni radiofoniche e televisive (60,8%), case da gioco (58,1%), trasporto areo (55,0%), riparazione di computer e altri beni personali (49,8%), servizi postali e di corriere (46,7%), finanziari e assicurativi (46,1%) e nel comparto della ristorazione (44,2%). Si confermano inoltre le criticità riscontrate nei primi periodi della pandemia per le agenzie di viaggio (39,3%), le attività sportive e di divertimento (38,9%), le attività artistiche (36,9%), il settore pubblicitario (36,6%), cinematografico e musicale (35,5%). Nel settore industriale soltanto il comparto tessile (43,7%) e quello alimentare (38,2%) presentano una quota di imprese in perdita superiore alla media complessiva (34,2%) e all’insieme del settore (29,8%).

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