L’omicidio di Emanuele Burgio non ha nulla a che fare con la mafia. In realtà, così come era emerso anche nel corso delle indagini, è maturato per un alterco. Una discussione che con il passare dei minuti si è sempre più accesa. Sino a spingere qualcuno a sparare e ad uccidere. Una ricostruzione che adesso è messa nero su bianco dalla corte d’assise di Palermo nelle sue motivazioni appena depositate. Burgio fu ucciso a colpi di pistola alla Vucciria, il 31 maggio del 2021. Ma non fu un’esecuzione tipica mafiosa: avvenne platealmente, davanti a tanti testimoni e in una zona dove notoriamente c’è la videosorveglianza. Nessuna accortezza nel premere il grilletto, comportamento non tipico della criminalità organizzata.

Motivazioni nell’aria

La tesi della mafia rimase in piedi perché Emanuele Burgio era figlio, Filippo, condannato in passato per aver agevolato il boss di Pagliarelli Gianni Nicchi. La famiglia del giovane non si è costituita parte civile nel processo. Che le conclusioni potessero essere queste era cosa ampiamente nell’aria. Infatti nel giugno scorso la corte di assise aveva assolto Domenico Romano dalla partecipazione all’omicidio di Emanuele Burgio. Aveva invece condannato a 18 anni Matteo e Giovan Battista Romano. In quell’occasione vennero escluse proprie le aggravanti del metodo mafioso e della premeditazione. Ai due è stato concesso lo sconto di un terzo della pena perché avevano chiesto il processo abbreviato che inizialmente non gli fu dato perché tra le accuse c’era proprio la premeditazione.

Il contesto degli screzi personali

La spedizione punitiva contro Burgio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe legata ad uno scontro tra Giovanni Battista Romano e un parente della vittima, avvenuto qualche giorno prima dell’omicidio. Ad aggravare la cosa un banale incidente stradale. Burgio, però, almeno in base a quanto emerso dalle indagini, sarebbe andato addirittura a cercare i Romano per chiedere conto e ragione dell’episodio. La situazione non sarebbe degenerata in un primo momento soltanto grazie alla mediazione di un’altra persona.

La tesi dell’accusa che non ha retto

Secondo l’accusa invece l’omicidio alla Vucciria maturò in un contesto mafioso e avvenne in via dei Cassari, davanti alla trattoria “Zia Pina”, gestita dalla famiglia della vittima, che al momento dell’omicidio era imputato in un processo per droga. Per la Procura, l’omicidio si verificò al culmine di una lite e sarebbe stato studiato in ogni minimo dettaglio, in seguito ad una serie di dissidi che ci sarebbero stati in precedenza tra Burgio e i Romano.

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