Ha superato il filtro di ricevibilità davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo il ricorso presentato dagli eredi degli imprenditori di Belmonte Mezzagno Cavallotti, difesi dall’avvocato Stefano Giordano, a cui a maggio scorso, a distanza di 8 anni dal sequestro del patrimonio, erano stati restituiti i beni. Gli imprenditori citano a giudizio davanti alla corte di Strasburgo lo Stato italiano per l’eccessiva durata del procedimento di prevenzione conclusosi peraltro con un dissequestri dei beni.

I fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti, padri dei ricorrenti, furono processati per turbativa d’asta, reato poi prescritto, e per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa da cui vennero assolti. I giudici però ritennero che pur non essendoci prove della loro colpevolezza, erano emersi indizi di una loro vicinanza ai boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, colonnelli del padrino Bernardo Provenzano.

Una valutazione che comportò il procedimento di prevenzione e la confisca del loro patrimonio. I beni dei figli vennero invece sequestrati. Mentre la confisca è diventata definitiva, dopo 8 anni, a giugno del 2019, il tribunale ha restituito agli eredi i beni sotto sequestro. Ora la Corte di Strasburgo è chiamata a pronunciarsi sull’irragionevole durata del procedimento di prevenzione e sulla violazione che il sequestro ha determinato in relazione al diritto al rispetto della vita privata e familiare e all’integrità del patrimonio. Le società tornare ai Cavallotti sono, dopo l’amministrazione giudiziaria, sull’orlo del fallimento. “Si tratta di una strada nuova, – dice l’avvocato Giordano – dove per la prima volta si chiede di accertare la responsabilità dello Stato sebbene sia intervenuta la revoca della misura di prevenzione”