Palermo si ferma nel ricordo delle vittime della strage di Capaci: Giovanni Falcone, la moglie Francesco Morvillo, gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani.
La commemorazione si tiene sul prato del Foro Italico di Palermo.

Maria Falcone: “Giovanni non voleva essere un eroe”

Tra i primi a prendere la parola Maria Falcone, la sorella di Giovanni Falcone che in questi 30 anni non ha mai smesso, nemmeno per un minuto, di combattere per la legalità ed il valore della memoria delle vittime di mafia.
“Lui non voleva essere un eroe, ma voleva essere soltanto un magistrato che facesse soltanto il proprio dovere. Non dobbiamo pensare solo al passato, ma anche al futuro per questa nostra citta” ha detto Maria Falcone aggiungendo: “Saluto e ringrazio sempre il nostro Presidente della Repubblica, il cittadino più importante di Palermo.
La ringrazio per tornare nella della nostra città e non soltanto per il suo passato, ma anche del suo futuro. Saluto tutto le autorità: a tutti dico grazie di cuore. E grazie ai miei ragazzi delle scuole, alle insegnanti che in questi anni hanno fatto una rivoluzione copernicana”.

Il ministro Cartabia: “Momento di riscatto e di rinascita”

“Un evento traumatico per il nostro Paese, da cui però è rinato qualcosa”. La ministra della Giustizia Marta Cartabia parla così della strage di Capaci in occasione della manifestazione di Palermo. Per il Paese da lì è partito un “momento di riscatto e di rinascita, in cui la Repubblica , le istituzioni e la società civile hanno fatto un percorso su tre assi fondamentali” sottolinea Cartabia. Il primo è quello della giustizia “con i processi e l’accertamento delle responsabilità che ancora continua”. Il secondo è la produzione di “una legislazione antimafia originalissima che ha messo a frutto il metodo di Falcone e Borsellino e lo ha esportato in tutto il mondo, soprattutto con l’aggressione ai beni e ai capitali” della mafia. Il terzo asse è rappresentato da “cultura e educazione: le buone leggi e la buona giustizia si nutrono di educazione e di cultura. Va sconfitta radicalmente la cultura mafiosa che baratta la dignità per denaro. Questo è un lavoro che si può fare solo capillarmente nelle scuole”.

Il ministro Lamorgese: “Sconfiggere la mafia è possibile”

La strage di Capaci “ha determinato uno scatto nella società civile, con quell’urlo di dolore lo Stato, le istituzioni, i cittadini hanno compreso che non si poteva accettare una violenza inaudita come quella che c’era stata, perché la posta in gioco era altissima, era la libertà”. Così il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese alla commemorazione. “Quella scossa sociale – ha ricordato Lamorgese- ha dato la forza allo Stato per andare avanti: sono state istituite la Dia e la Dna. È stato un punto fondamentale perché sconfiggere la mafia è possibile, non è invincibile. Falcone diceva che è un fattore umano e come tale destinato a concludersi, ma bisogna essere molto vigili, perché è capace di adattarsi”.

Il ministro Bianchi: “Pedagogia della legalità”

“Un saluto a tutti i ragazzi qui presenti, ci siete ci siamo, che bellezza! Guardate la bellezza di questi lenzuoli! Dobbiamo farli girare nelle scuole di tutta Italia fa parte della pedagogia della legalità”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi a Palermo ammirando le lenzuola portate dai giovani, simbolo contro la mafia. “La mafia riconosce nella scuola la sua principale sfida: la scuola insegna consapevolezza, appartenenza, comunità: sono tutte cose che la mafia e il terrorismo non vogliono. Contro tutti coloro che vogliono distruggere la comunità noi diciamo: più scuola di partecipazione, consapevolezza. C’è una pedagogia della legalità, noi questo portiamo avanti. Piantare tanti alberi questo dobbiamo fare: il prossimo anno nei nostri giardini pianteremo tutti un albero della legalità”, ha detto il ministro.

Grasso: “Maxiprocesso punto di svolta contro la mafia”

Presenti al Foro Italico anche i colleghi di Giovanni Falcone.
Tra loro anche l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, che è stato giudice nel primo grado del maxiprocesso alla mafia istruito da Falcone e Borsellino.
“Il maxiprocesso – ha detto – è stata una svolta che io ho visto successivamente come una guerra di resistenza e liberazione che il pool antimafia aveva messo in atto perché era un modo per far vedere il volto della mafia dietro quelle gabbie e finalmente fare dire che la mafia esisteva. Non dimentichiamo che tutti gli omicidi eccellenti avvenuti prima non avevano portato a questo risultato, è stata una svolta epocale che ha dato la possibilità successivamente di ottenere grandi risultati”.

Lo Voi: “Fu pioniere nei rapporti tra Usa ed Fbi”

Quello con Giovanni Falcone fu “un periodo di apprendistato da parte mia e poi collaborazione professionale” nella Procura di Palermo e “ricordo la sua l’attività pioneristica, con l’avvio dell’attività giudiziaria verso l’estero e gli strettissimi rapporti con gli Stati Uniti e l’Fbi”. Lo ha detto il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, alla cerimonia palermitana. “Tutto è rimasto come memoria, insegnamento e anche – ha aggiunto il magistrato che lavorò nella Procura di Palermo con Falcone – per rimpianto per tutte quelle cose che avrei potuto chiedere e per remora non ho fatto, pentendomene poi. Cerco di trasmettere il suo insegnamento. Il primo è quello di non tralasciare nulla, di aprirsi al dialogo e col confronto con colleghi, collaboratori, persone con cui veniva a contatto e le forze di polizia”.

Ayala: “Giovanni e Paolo erano dei grandi uomini”

“Giovanni Falcone, tra le idee innovative, ebbe quella di coinvolgere un pm nell’attività dei giudici istruttori. I giudici istruttori firmata l’ordinanza di rinvio a giudizio uscivano di scena. Ma la partita si giocava in dibattimento. E in dibattimento andava il pubblico ministero. Allora Giovanni pensò di coinvolgere nell’attività del pool antimafia il pm per metterlo nelle migliori condizioni di sostenere l’accusa. La scelta cadde su di me che ero l’ultimo arrivato in procura. Un collega chiese a Falcone perché scelsero me e lui rispose: non sapevamo a che criterio affidarci e abbiamo scelto il più asettico che esiste in ordine alfabetico, si chiama Ayala e abbiamo scelto lui. Mi piace pensare che non sia stata questa la vera ragione”. Lo ha detto Giuseppe Ayala che fu pm nel primo grado del maxiprocesso alla mafia parlando sul palco del Foro Italico. “Giovanni e Paolo non volevano essere eroi, erano degli uomini per cui bisogna usare la u maiuscola, erano dei grandi uomini”, ha aggiunto.

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