Un viaggio nel passato ma rimanendo nel presente. E’ possibile andando a trovare Gianni Cusumano, trentacinquenne che vive a Castelbuono, sulle Madonie, nel palermitano.
Lui, che oltre alla passione per la fotografia di professione fa il consulente economico per alcuni enti, per realizzare le sue immagini usa il “collodio umido”, una tecnica in voga soprattutto tra il 1850 e il 1880. Poi tramontata con l’avvento dei processi “a secco”, sostituiti, infine, con il procedimento della gelatina-bromuro d’argento, che consentì anche ai dilettanti, con maggiore semplicità, di dedicarsi alla fotografia. Insomma iniziò la massificazione degli scatti.
Ma Cusumano ferma il calendario. E ora la sua tecnica è materia di workshop tenuti da Mark Osterman e France Scully in collaborazione con il George Eastman Museum di New York presso la sua bottega.
“Una tecnica la sua – afferma il giornalista Giovanni Franco – utilizzata con sapienza e professionalità che produce risultati sorprendenti”. Gianni nato a Porto Empedocle, il comune da cui Andrea Camilleri ha preso spunto per creare l’immaginaria Vigata, ha vissuto per anni tra Atene e Londra e poi nel 2013 è ritornato in Sicilia.
“La passione per la fotografia ce l’ho da bambino, ma mentre i mie coetanei si limitavano a guardare le immagini io mi chiedevo come fossero state realizzate dal punto di vista tecnico – racconta – Cercavo una mia indipendenza delle industrie fotografiche. E cosi il primo banco otico lo costruii con le mie mani. Quello che uso adesso l’ho comprato negli Usa”.
Le sue immagini ritraggono la natura o si concentrano sui primi piani che fa su commissione.
“Ho sempre vissuto in grandi città, ora abito immerso nella natura in un piccolo borgo medievale situato in uno dei parchi più grandi della Sicilia. – dice – Amo il colore delle foglie, il ritorno degli uccelli, il vento del nord, il tempo del grano e quello del raccolto”. Il suo approccio alla fotografia, attraverso l’antica tecnica del collodio umido, riflette “la lentezza del posto in cui trascorro la gran parte delle mie giornate. Mi piace perdermi nel silenzio della natura, – spiega – fotografandone le forme: ulivi, con tronchi nodosi e rami flessibili, instancabili osservatori delle generazioni umane che si susseguono”.
“Adoro anche fare ritratti: la tensione che si crea tra il mio occhio e il soggetto davanti a me si trasforma in una lastra unica e irripetibile”, prosegue.
“In passato le persone vivevano con poche immagini che conservavano per tutta la vita e le lasciavano ai loro figli come testimonianza della loro esistenza – osserva – Il processo fotografico che pratico ci riappropria della materialità perduta”. Per ogni scatto la posa dura dai 12 ai 14 secondi. Poi l’intero processo, dalla pulizia del vetro all’applicazione della vernice, richiede metodi lunghi e laboriosi che sono decisivi per ottenere buoni risultati.
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